mercoledì 6 giugno 2012

Nepal: la Costituzione in frantumi e l’arlecchinata etnica


Kathmandu, Luglio 2008

Anni di speranze per un nuovo progetto  civile e politico sfumati in pochi istanti. Il progetto della Costituzione nepalese è fallito. Da settimane ormai non si fa che parlare d’altro. Del futuro del paese. C’è chi parla di nuove elezioni a Novembre e chi, nostalgicamente, auspica un ritorno alla monarchia.
Accantonando i progetti utopistici, vale la pena di fermarsi per riflettere sull’accaduto. Il progetto di dividere il Nepal su base etnica non poteva che essere un flop. La visione federalista su base castale non poteva che essere un delirio prontamente contestato dai vari gruppi che si sono sentiti emarginati. La mappa costituzionale era piuttosto complessa. Attualmente il Nepal è diviso in 75 distretti, in ognuno di questi è presente un gruppo etnico-castale più o meno prevalente. Pensare ad un federalismo che accontenti tutti significa  decidere a monte di  deludere i più. A questa difficile situazione si aggiunga la moltitudine di nazionalità diverse presenti nel paese: indiani, tibetani, mongoli. A loro volta i nepalesi non sono semplicemente “nepalesi” ma troviamo diversi gruppi con tradizioni e spesso lingue completamente diverse: madhesi, newari, tamang, limbu, tarhu, gurung, magar e così via; 60 gruppi etnici e più di 100 caste. Non c’è da sorprendersi se un tamag non riesca a comunicare con un newari. In Nepal vengono parlate un centinaio di varietà linguistiche.  Realtà così diversificate sono presenti anche in India ma gli indiani non ipotizzerebbero mai di dividere lo Stato in base a tali differenze. Sarebbe una follia! La situazione indiana è già abbastanza complessa così e gli attriti non hanno mai tardato a manifestarsi.
Vadasi per il federalismo, ma con giusto criterio. Decentrare il potere in uno stato nato da così poco e con una classe politica a volte  incerta o incompetente può essere un’interessante prospettiva a patto che questa non inneschi, come ha fatto fino ad ora, sommosse popolari.
Il dilemma non è da poco conto. La divisione territoriale creerebbe mescolanza e convivenza tra gruppi molto diversi. La divisione su base etnico-castale creerebbe degli squilibri e delle forti minoranze che non avrebbero voce in capitolo dal punto di vista politico e sociale. La prima soluzione sembrerebbe la meno rischiosa perché quella più vicina alla consuetudine degli ultimi secoli.
Ma la decisione era troppo importante e difficile e il governo maoista si è tirato indietro lasciando il paese alla deriva, nonostante la predisposizione verso un progetto etnico che prevedeva 14 territori dominati dai gruppi che si sono maggiormente distinti durante la guerra civile.
 Le cose non sono così semplici: anche con la prospettiva delle elezioni di novembre gli animi sembrano non volersi chetarre. Il Congress Party, rappresentato in larga misura dalle prime due caste, i bahun e chhetri, non scenderà facilmente a compromessi con i maoisti. La loro, diciamolo, è una scelta conveniente:  si rifiuta la prospettiva maoista per far rimanere più o meno inalterata una divisione territoriale nella quale hanno sempre dominato, in ogni campo. Il Congress accusa inoltre il governo maoista di aver deliberatamente aizzato le rivolte civili per timore di perdere il potere guadagnato con le elezioni del 2008.
Una soluzione sarebbe quella di una possibile coalizione di tutti i gruppi etnici minori. Ciò significa però coordinamento, consapevolezza, obiettivi comuni, spirito di sacrificio e abilità politica. Come si può pretendere tutto questo da uno stato così giovane e inesperto? Sarebbe come affidare un liceo alle mani di un gruppo nutrito di studenti dei primi anni. Un’esperienza interessante ma rischiosa. Il Nepal ha sofferto troppo e da troppo poco tempo. Nei ricordi dei nepalesi ci sono ancora i massacri della guerra civile, un fantasma che non si può cancellare così facilmente. Forse la salvezza è in questo timore, nell’insicurezza  e nella ponderatezza che scongiurano violenze troppo efferate.

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