martedì 25 settembre 2012

Essere rifugiati e oppressi

Kathmndu, festival tibetano, luglio 2011
Davanti alle baracche dei lavoratori di strada indiani in Buthan alzo lo sguardo verso Jamyang Tenzin. Lui capisce che sto per fargli una domanda e mi squadra seriamente dalla formalità del suo abito tradizionale buthanese.
" Qui in Buthan non ci sono forme di schiavitù e sfruttamento, tutte le etnie sono considerate allo stesso livello".
Ma forse si accorge di aver fatto un passo falso perchè la mia domanda arriva più rapida della consapevolezza del suo errore.
"E cosa mi dici dei rifugiati nepalesi?"
"E' un problema che non esiste più, il governo lo ha risolto da anni".

E invece il problema c'è ancora. Ci sono i campi di buthanesi di origine nepalese in Nepal e ci sono i problemi diplomatatici tra i paesi che si occupano di questa interminabile vicenda.

Il Nepal, da buon stato cuscinetto, gestisce anche i rifugiati tibetani.
I rapporti di amicizia tra governo cinese e Nepal non sono certo un mistero; non ci sorprende quindi sapere che l'incontro più o meno segreto tra il segretario di Stato Usa per gli affari in Asia e il leader dei tibetani a Kathmandu venga visto malamente.
Alcuni nepalesi sono fermamente convinti del fatto che la CIA sia ancora operativa in Nepal e che il paese venga utilizzato come palestra di addestramento "politico" in vista di una possibile rivolta tibetana.
Ho avuto modo di parlare con vari giovani nepalesi, dall'estrazione culturale medio-alta, convinti del fatto che i monasteri tibetani nella valle di Kathmandu siano popolati da falsi monaci mandati dalla CIA, o addirittura dal governo indiano (forse con un piano sovversivo del Dalai Lama), per controllare la situazione  dei tibetani in Nepal e gestire possibili azioni di rivolta. La vicinanza del Nepal con il Tibet è sicuramente un fatto innegabile ma l'ipotesi dei "finti monaci" sembra tratta da una spy-story di basso livello.

La situazione dei rifugiati nepalesi è spesso dura come quella dei rifugiati indiani: non possono avere documenti e cercare un lavoro è molto difficile.
Una cosa è certa: la Cina non starà certamente con le braccia conserte ad aspettare una rivolta di finti monaci.
Per il momento, purtroppo, una decisiva azione di rivolta sembra utopica.
Quello che rimane concreto è il numero di monaci che hanno scelto le fiamme piuttosto che la schiavitù del loro paese.

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