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mercoledì 12 dicembre 2012

Gesù in salsa Bollywood?

A volte l'etichetta Bollywood viene usata per rendere più appetibile ciò che con quel genere di cinema non ha nulla a che spartire. A volte si scimmiotta uno stile per rendere più visibile un fenomeno in un contesto sociale nel quale la diffusione di alcuni principi sarebbe difficile. Bollywood non è solo una grande industria ma la rappresentazione sognata di una realtà. Eh si, perchè il bello del cinema in India è questo. Si tratta di un luogo di evasione, di rilassamento dove, spesso, tutto è come lo si desidererebbe. Alcuni parlano di vite irreali o artificiali riferendosi a quelle rappresentate sul grande schermo. In verità il sogno, il desiderio e il reale non dovrebbero essere mai scissi. E allora si, perchè no, Bollywood può diventare una grande fabbrica dei sogni.

I cristiani indiani hanno pensato un grande colossal sulla vita di Gesù, Cristaayan. Verrà trasmesso in televisione a puntate, così come il Ramayana o il Mahabarata ma lo stile, dalle prime notizie in circolazione, sembra essere quello bollywoodiano. Già dal trailer è evidente il rimando alle saghe hindu: le musiche, il montaggio, le prediche sotto l'albero della bodhy e, diciamolo, seppur con rispetto, Cristo sembra proprio un Baba di Varanasi!

Il film è girato in stati a prevalenza cristiana anche se gli attori non lo sono.
 Non si tratta del primo esperimento indiano sulla vita di Cristo. Per la prossima primavera dovrebbe uscire un film in 3D per il cinema intitolato "Trenta pezzi d'argento", del regista Johny Sagarika.
L'attenzione indiana per il cristianesimo ha origini antiche, origini che si riferiscono ad un passato più remoto di quello della dominazione occidentale. Molti indiani del sud ritengono, con una certa convinzione, che il sepolcro di Cristo, morto e non risorto, si trovi in Kerala. Più di una volta  in Nepal alcuni cristiani mi hanno parlato di un viaggio del profeta in Asia. Nelle bilbioteche di Kathmandu ho visto molti libri sull'argomento.
Riuscirà, il nuovo colossal, a tenere incollati al video milioni di indiani come fa attualmente il Mahabarata?


mercoledì 10 novembre 2010

FREEDOM RELIGION ACT in India: tra coscienza e proselitismo


In questi giorni sulla stampa indiana si fa un gran parlare del Freedom Religion Act.
Si tratta dell’estensione a tutto il paese di una legge che vieta le conversioni dall’induismo ad altre religioni. Questa legge è presente- e applicata in modo più o meno ferreo- già in 7 stati: Himachal Pradesh, Rajasthan, Madhya Pradesh, Orissa, Gujarat, Arunachal Pradesh e Chhattisgarh.

Il partito fondamentalista indù Bjp, supportato dal RSS, il suo braccio armato, fanno gran voci  tra le masse.
Alcuni elementi vanno sicuramente considerati con attenzione: tra gli stati che già contemplano il Freedom Religion Act c’è l’Orissa . Sono note a molte le vicende di violenza  legate alle conversioni di massa. Proselitismo e reazioni violente e ingiustificabili!

Posto un assunto fondamentale nella libertà di credo, di professione e di coscienza, bisogna entrare nell’ottica del radicalismo indù.
E’ sicuramente vero che ogni uomo è libero di scegliere il suo Dio, ma è altrettanto vero che in India, dall’ondata colonialista in poi, il proselitismo cristiano ha spopolato e non sempre si sono avute come sfondo delle profonde vocazioni all’amore cristiano.

Quella induista, ricordiamolo, è una società basata fortemente sul sistema delle caste. Parlare di caste con un indiano significa, a volte sentire  la terminologia “my religion”.  Appartenere ad una casta bassa o, ancora più incisivamente, essere un fuori casta, un dalit, significa venir esclusi da un sistema sociale che ha rigide regole e antiche tradizioni. Sicuramente questo sistema non è presente e radicato n tutto il paese ma, non possiamo escluderlo, è sicuramente evidente, a volte anche tra quei giovani che si definiscono moderni e vivono nelle grandi città del boom economico-tecnologico.

Il problema in realtà è un altro. Vada per la conversione. Vada anche per il sincero trasporto religioso, quello abbagliante e inspiegabile.  Due aspetti rimangono intollerabili: da una parte  la pressione proselitista che è sempre stata massiccia nel paese; dall’altra la tendenza alla conversione per raggiungere  quell’appartenenza e quel riconoscimento che manca al dalit.
L’operato della Chiesa nei paesi in via di sviluppo è lodevole. L’aspettarsi qualcosa in cambio, anche se non esplicitamente, anche se non con quell’intento, è deplorevole. Non sono certo nuove le notizie di nuovi convertiti che  ricevono denaro, istruzione per i loro figli, agevolazioni per il mondo del lavoro, sovvenzioni di vario genere. Spesso non si tratta semplicemente di carità e partecipazione. Come distinguere il vero dal falso?

In un paese dove il sincretismo religioso è fortissimo è inequivocabilmente possibile attirare acqua verso il proprio mulino.  E sì, perché il sincretismo non funziona sempre bene e a volte qualche meccanismo si inceppa. A fare proselitismo, lo ricordiamo, non è solo il cristianesimo! E gli indiani non sono cero “il popolo ingenuo” che crede a qualsiasi storia o abbandona facilmente le proprie radici!
Chiedere dei chiarimenti è dunque giusto, controllare la veridicità di una conversione altrettanto. Ma come si può entrare nel cuore di un uomo? Come si può discernere la purezza dell’animo verso il richiamo divino dall’esigenza nutritiva e di sostentamento di una famiglia, soprattutto in un paese dove la povertà è ancora così diffusa?
Con il Chhattisgarh Freedom of Religion Act  del 2006 sono previste multe fino a 20000 rupie  e carcere fino a 3 anni per coloro che risultano essere stati protagonisti di conversioni forzate. Tornare all’induismo non è invece un problema. Non si deve neanche richiedere l’autorizzazione alla magistratura locale un mese prima.  Quello che è sbagliato nell’ottica di queste leggi è l’esclusività, l’imposizione, il binario unico. Quello della fede è  un contesto personale. Nessuno può impormi di essere solo indù, così come nessuno può instradarmi verso una conversione cristiana. In questa ottica sono in pericolo anche le minoranze musulmane

Ricordiamo inoltre un altro elemento: la Costituzione indiana entra il vigore nel 1950  e, oltre ad essere fondata su ideali di giustizia, libertà, eguaglianza e fraternità, si basa sulla laicità dello stato, su un “socialismo reale” a carattere democratico.  L’idea di Democrazia ha in sé l’idea di libertà. La libertà è quella di chi sceglie un Dio. La libertà è quella di parlare di un Dio ad un popolo che non lo conosce. La libertà è quella di chi lo sente dentro o meno, di chi ne segue il richiamo o ne rimane indifferente. La libertà è quella di chi si oppone ad un cambiamento e vorrebbe controllare le coscienze.
Non possiamo però non ricordare che BJP e  RSS sono direttamente-o indirettamente- coinvolti in tante stragi a carattere religioso che hanno sconvolto l’India negli ultimi anni: i disordini del 1992-93 per esempio.
Nessuno può controllare una coscienza o presumere che non sia pura. Nessuno può pretendere di manipolare una coscienza comprandone il valore.
Il divino è espressione della necessità umana di sentire una forza trascendente. I Veda ribadiscono più volte questa presenza:

“Ogni pollice di vita sulla terra è associato a qualcosa di divino. Noi perveniamo alla piena conoscenza soltanto quando ci rendiamo consapevoli del divino e delle sue manifestazioni in ogni tratto di terreno sul quale camminiamo”