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domenica 16 febbraio 2014

Tibet blindato: per far finta di non vedere e non sapere


Confine Nepal-Tibet, Agosto 2011
Come ogni anno, a poche settimane dal Losar, il governo cinese limita gli accessi al Tibet. Togliersi dai piedi turisti e occidentali curiosi appare l'unica cosa da fare in un periodo nel quale la tensione sta tornando alta. Il TTB, il Tibetan Tourist Bureau, non rilascerà visti e permessi dal 20 Febbraio al 20 Marzo.
La nuova limitazione coincide con l'ennesima immolazione, quella di un ex monaco di 25 anni del monastero di Kirti. I sacrifici salgono così a 127. Ma le torce umane tibetane non sembrano essere il problema fondamentale per i cinesi.
Sempre in questi giorni, l'Alta Corte di Giustizia spagnola ha emesso un'accusa di genocidio e reati contro l'umanità nei confronti del Tibet , chiedendo l'arresto dell'ex presidente cinese Jiang Zemin, dell'ex premier Li Peng altri tre ex dirigenti del partito comunista cinese.

La Spagna, oggi Stato dalla svolta conservatrice, ha riconosciuto il reato di genocidio dal 1971.
L'imminenete modifica del sistema giudiziario spagnolo potrebbe mettere a tacere questa presa di posizione europea rispetto ad una questione tanto importante.
Mentre l'Europa resta a guardare muta, le  porte del Tibet si chiudono e l'incessante pioggia degli ultimi mesi inonda  e spazza via la storia e il ricordo di un popolo che non ha più voce per farsi ascoltare.
La Cina, nel frattempo, continua ad allungare i suoi tentacoli e annuncia l'imminente conclusione dei lavori infrastrutturali per il collegamento stradale tra il Mustang, in Nepal, e il Tibet. Una nuova strada che forse, con la svolta democratica apportata dalla vittoria del Nepali Congress e la proclamazione di Koidara, non potrà essere battezzata amichevolmente come "friendship road", come il già esistente passaggio nei pressi di Kodari, nel Nepal nord orientale. Ma il nuovo premier deve fare i conti con il secondo partito più importante in Nepal, quello maoista, i cui legami con il governo cinese non sono stati mai un mistero.


martedì 25 settembre 2012

Essere rifugiati e oppressi

Kathmndu, festival tibetano, luglio 2011
Davanti alle baracche dei lavoratori di strada indiani in Buthan alzo lo sguardo verso Jamyang Tenzin. Lui capisce che sto per fargli una domanda e mi squadra seriamente dalla formalità del suo abito tradizionale buthanese.
" Qui in Buthan non ci sono forme di schiavitù e sfruttamento, tutte le etnie sono considerate allo stesso livello".
Ma forse si accorge di aver fatto un passo falso perchè la mia domanda arriva più rapida della consapevolezza del suo errore.
"E cosa mi dici dei rifugiati nepalesi?"
"E' un problema che non esiste più, il governo lo ha risolto da anni".

E invece il problema c'è ancora. Ci sono i campi di buthanesi di origine nepalese in Nepal e ci sono i problemi diplomatatici tra i paesi che si occupano di questa interminabile vicenda.

Il Nepal, da buon stato cuscinetto, gestisce anche i rifugiati tibetani.
I rapporti di amicizia tra governo cinese e Nepal non sono certo un mistero; non ci sorprende quindi sapere che l'incontro più o meno segreto tra il segretario di Stato Usa per gli affari in Asia e il leader dei tibetani a Kathmandu venga visto malamente.
Alcuni nepalesi sono fermamente convinti del fatto che la CIA sia ancora operativa in Nepal e che il paese venga utilizzato come palestra di addestramento "politico" in vista di una possibile rivolta tibetana.
Ho avuto modo di parlare con vari giovani nepalesi, dall'estrazione culturale medio-alta, convinti del fatto che i monasteri tibetani nella valle di Kathmandu siano popolati da falsi monaci mandati dalla CIA, o addirittura dal governo indiano (forse con un piano sovversivo del Dalai Lama), per controllare la situazione  dei tibetani in Nepal e gestire possibili azioni di rivolta. La vicinanza del Nepal con il Tibet è sicuramente un fatto innegabile ma l'ipotesi dei "finti monaci" sembra tratta da una spy-story di basso livello.

La situazione dei rifugiati nepalesi è spesso dura come quella dei rifugiati indiani: non possono avere documenti e cercare un lavoro è molto difficile.
Una cosa è certa: la Cina non starà certamente con le braccia conserte ad aspettare una rivolta di finti monaci.
Per il momento, purtroppo, una decisiva azione di rivolta sembra utopica.
Quello che rimane concreto è il numero di monaci che hanno scelto le fiamme piuttosto che la schiavitù del loro paese.

venerdì 16 dicembre 2011

Le donne indiane dove sono?

A Sunita, Agosto 2009
Recentemente alcune notizie provenienti dall'India ci fanno inorridire. In un ospedale di Haryana un gruppo di medici ed infermieri organizzava aborti selettivi di feti femminili.
Come si può giungere a tanta miseria culturale?

Quello della sex ratio è un problema di molti paesi dell'Asia. La Cina e la politica del figlio unico hanno indotto all'implementazione di un'orrida pratica già largamente diffusa nel paese. Attualmente alle coppie che hanno una bambina viene data un'altra possibilità. Si incrociano le dita e si spera che sia maschio. Si, perchè nelle campagne cinesi la nascita di una bambina, l'unica figlia prima di pagare una tassa per ulteriori figli, può essere una maledizione.

Solo nell'ultimo anno mancano all'appello 60 donne. Nascono 940 femmine ogni 1000 maschietti. In un paese come l'India che si appresta al miliardo e 300 milioni di abitanti, che nel 2020 supererà sicuramente la Cina,  che non ha problemi demografici, la scomparsa di queste 60 bambine è giustificabile solo con un'accurata selezione.Nel 2001 la sex ratio vedeva la presenza di 100 bambini e 94 bambine. Il rapporto attuale in Punjab è quello di 100 a 79,8.

E' vero, l'India è il paese di Sonia  e Indira Gandhi, il paese dei presidenti donne come Pratibha Devisingh Pati, delle leggi che garantiscono, o cercano di garantire quote rosa adeguate in ambito lavorativo e politico. Sonia Gandhi sta premendo affinchè si approvi una legge che garantisca il 33% di incarichi parlamentari.
Ma l'India è il paese dove le donne subiscono ancora umiliazioni e vessazioni indicibili.

- In Rajastan il 56 % delle donne si sposa sotto i 15 anni di età
-Molte donne, rimaste vedove, sono spinte dalle famiglie a scegliere la Sati, la morte sul rogo del marito per essere poi santificate e ricordate come "brave mogli". Il governo ha addirittura emanato una legge, già nel 1929, che scoraggia i testimoni e i sostenitori di tali immolazioni. Il tredicesimo giorno dopo la Sati si celebra una cerimonia di santificazione per la donna pura che ha scelto di seguire il marito anche in morte. Spesso queste immolazioni sono veri e propri suicidi perchè la condizione vedovile indiana è alquanto difficile. Su questo interessante argomento ci sarebbe tanto da dire; un film, Water di D. Metha, ne mette in luce  le caratteristiche.
-Molte vengono stuprate da zii o parenti più o meno prossimi
-Altre vengono picchiate, bruciate o indotte al suicidio per mantenere la dote che hanno portato in caso o poter sposare un'altra donna. A volte le torture peggiori vengono inflitte dalle suocere

E' vero, forse tutto questo avviene solo nei villaggi isolati e poco evoluti culturalmente. Ma di quale cultura parliamo? Sono dunque forse fortunate le bambine che si decide di non far nascere?
Oggi questo fenomeno non è legato solo ai villaggi,  sta aumentando drasticamente anche nelle grandi città. Nel 2030 i maschi indiani saranno il 20% in più rispetto  alle femminucce.


Perchè scompaiono le bambine?
Perchè una bambina rappresenta solo un peso per la famiglia: vestirla, nutrirla, istruirla, vengono considerati gesti inutili, senza frutto, perchè quella bambina, il prima possibile, abbandonerà la casa dei genitori per entrare nella casa del futuro marito. Un matrimonio rappresenta, per le famiglie indiane di bassa estrazione sociale, una spesa ingente e gravosa, la spesa più importante e pesante. Spesso alcune famiglie si indebitano  spaventosamente per poter presentare una dote adeguata. Scarsa dote, scarso marito. Scarso marito, poco onore per la famiglia. E l'onore in India è importantissimo.
Dal 1961  la dote sarebbe, in teoria, abolita, illegale. Di fatto non è cambiato nulla, fatta eccezione per i Nair del Kerala.
Avere un figlio maschio, comunque, è considerato un segno di fortuna e prosperità. il figlio maschio continua il nome della famiglia, rappresenta forza e virilità e si prende carico dei genitori anziani. Ricordiamo inoltre che nella tradizione hindu il figlio maschio è colui  che accende il rogo funebre dei genitori.

Le bambine allora scompaiono: con un'ecografia fetale è possibile stabilire in pochi minuti il sesso del nascituro. In altrettanti pochi minuti, nei tempi giusti e legali, è possibile sbarazzarsi  di un feto indesiderata perchè gravoso.

Ma esiste anche una disuguaglianza durante la  vita.
Normalmente la mortalità femminile è inferiore rispetto a quella maschile. In alcuni paesi asiatici, tra i quali spicca l'India, il tasso di mortalità femminile diventa invece il più alto. Le bambine vengono malnutrite, non viene data loro assistenza medica adeguata, un'istruzione adeguata. Il rischio di morte tra  1 e 5 anni è del 50%. E'anemico  il 60 % delle donne indiane. L'India ha 6 volte più universitari della Cina ma  metà delle donne è analfabeta. 


"Le donne reggono metà del cielo" dicono i cinesi, ma la realtà asiatica sembra sconfessare questa affermazione. Ogni anno in Cina muoiono 39.000 bambine entro il primo anno di vita a causa delle scarse cure e della scarsa attenzione ad esse prestata. In India ogni due ore viene bruciata una donna. In Nepal centinaia di bambine vengono rapite e rivendute ai bordelli di Delhi o Calcutta.


Le donne, in realtà, se riuscissero a nascere e a sopravvivere, potrebbero essere una risorsa importantissima per molti paesi asiatici. Crescere, studiare e trovare un lavoro sono semplici cose che possono cambiare un sistema. ll Kerala ha già fatto questo passo avanti: la mortalità infantile è scesa, il livello di istruzione è salito e con esso lo sviluppo economico.


Le donne possono portare pace: l'assenza di donne, a lungo andare può portare a problemi di ordine sociale e civile. Nelle società dove le donne sono numericamente inferiori o emarginate prevale una cultura aggressiva e violenta. Il terrorismo sembra prevalere  nei paesi dove le donne hanno un livello culturale basso.


E' difficile proporre soluzioni, sopratutto da parte di una donna che si è ormai convinta del fatto che la sua condizione di donna la porta e la porterà irrimediabilmente verso condizioni di discriminazione quotidiana. Si può essere nati, sopravvissuti, istruiti ma, purtroppo, tristemente consapevoli e rassegnati.

venerdì 14 ottobre 2011

IL TIBET E' LIBERO!

Qualche giorno fa la Cina ha festeggiato il Centenario della nascita del Partito. In una manifestazione pomposa e altisonante hanno sfilato tutti i grandi politici: i nuovi e i vecchi, quelli di sempre. A volte sembra non esserci una differenza temporale in Cina: le cose rimangono quasi inalterate. Si, certo, grande progresso economico ed industriale, ma le facce sembrano essere sempre le stesse così come gli ideali che “vorrebbero” veicolare!

Ma in Tibet, ovvero in Cina, si è festeggiato anche un altro importante anniversario: il 60esimo della LIBERAZIONE DEL TIBET. Non è uno scherzo, è proprio così. La Cina è convinta di aver liberato il Tibet dall’arretratezza e dal medievalismo religioso; dal vecchio e dall’obsoleto; dal vetusto e logoro sistema gerarchico del buddhismo. I tibetani ora sarebbero liberi perché inglobati nella Grande Cina! Noto paese libero e democratico!?!

 C’è davvero da festeggiare? Ovviamente il Governo ne approfitta per fare propaganda:  LA CINA HA RESO IL TIBET UN PAESE MODERNO ! Così sembrano recitare, quasi urlare, in maniera maleducata, i cartelloni pubblicitari in giro per Lasha. A vederli si direbbe che i tibetani sono felici; che tutto sommato è vero, si sta meglio e il progresso è arrivato davvero: grandi strade asfaltate, una città ipertecnologica, cellulari dalle funzioni quasi spaziali che hanno campo a 6000 metri, ristoranti di lusso, negozi cinesi ovunque. I simboli del potere campeggiano per le strade affollate e ricordano a tutti qual è il prezzo di questa strana libertà.

La libertà che si festeggia è quella di un paese che si è dovuto piegare; che deve mostrare bandiere che non gli appartengono nascondendo la propria. La libertà è quella di una cultura che viene calpestata ogni giorno e che sembra debba apparire silenziosa e docile.





C’è una cosa che i cinesi non hanno capito: che i tibetani hanno uno spirito libero, uno spirito che nessuno potrà mai uccidere o dominare, perché troppo selvaggio e ancestrale. Forse qualcuno a Lasha s è piegato, forse il tempo e la sofferenza hanno scavato solchi profondi nella memoria, ma la libertà, no, quella da festeggiare non può essere la libertà.



L’esercito, con 1000 armi e 1000 uniformi, pattugliando, controllando, ispezionando non riuscirà mai a piegare  fino in fondo chi nasce libero dentro.
Cosa si può desiderare di più? Sarà davvero questa la liberazione? Forse i tibetani si sono illusi per secoli?  Non era dunque il Nirvana che doveva liberarli, ma i cinesi! Che libertà!





Ebbene si, il Tibet è libero, è libero dentro:nonostante l’imposizione di una cultura non sua, di un’economia non sua; nonostante  il divieto di crescere culturalmente; nonostante il controllo forzato; nonstante le fughe; nonostante la disperazione e l’alcolismo. Il Tibet è libero perché dall’interno è immodificabile. La libertà è quella degli spazi sconfinati; del cielo dal blu imbarazzante; della perseveranza, della forza e del coraggio di un popolo che può piegarsi come giunco, ma che non si spezzerà mai.



giovedì 7 luglio 2011

Auguri vietati per il Dalai Lama in Cina e Nepal


Oggi Kundun, il leader spirituale del popolo tibetano, compie 76 anni. Il governo cinese ha inasprito i controlli e le repressioni per tale evento. Tre giorni fa Yoube è stato oscurato in Cina. Anche il Nepal segue le orme del grande fratello. Sono state vietate manifestazioni e raduni nella capitale Kathmadu. I tibetani sono stati invitati a pregare e festeggiare privatamente solo all'interno delle case e dei monasteri. Fino a qualche tempo fa, almeno in Nepal, nella zona di Boudhanath a maggioranza tibetana, era concessa la chiusura dei negozi per 2 o 3 giorni. I tibetani danno molta importanza a questo evento. Solitamente il compleanno, per la cultura tibetana, non riveste un grande significato. In alcune zone del Tibet non si festeggia, molti non sanno neanche precisamente quanti anni hanno, altri ancora seguono la tradizione del calcolo a partire dal concepimento, non dalla nascita. In questo modo si possono calcolare sempre 9 mesi in più.
Ma quello in onore del Dalai Lama è un festeggiamento particolare, ha un intenso valore spirituale perchè è legato al concetto di reicarnazione. Il Dalai Lama è infatti considerato la reincarnazione del Bodhisattva Avaloketesvara, la personificazione della compassione illimitata.

La reincarnazione ha origini fin dal  XII secolo a.C. E' cominciata con Dusum Kenpha, il primo Karnapa (110-1193) e il primo dei lama incarnati (tulku). Fino ad oggi ci sono state 14 successive reincarnazioni di questo lama. Il quattordicesimo è appunto Tenzin Gyatzo, il leader spirituale tibetano in esilio a Dharamsala
Il governo nepalese ha assecondato le richieste cinesi e ha vietato l'afflusso presto una scuola dove era prevista una manifestazione. La polizia ha fatto entrare solo gli studenti in uniforme vietando l'accesso ai monaci e alle monache. Tre tibetani sono stati  arrestati e portati via in malo modo dalle forze dell'ordine  perchè hanno provato a ribellarsi.
Il 2011 è un anno che spaventa molto la Cina. Attualmente il confine del Tibet è chiuso per turisti  e ricercatori. Le autorità nepalesi dicono che riapriranno il 25 luglio. Ufficialmente il motivo della chiusura è il clima rigido e l scarsa capacità ricettiva del paese. Il vero motivo è legato al timore di disordini. Negli stessi giorni sono intensificati anche i controlli per i visti per la Cina. Ci sono cose che non possono essere mostrate!
Tanti auguri al Dalai Lama!

venerdì 3 giugno 2011

FREE TIBET, non BRAND TIBET! UNA QUESTIONE REALE ED ATTUALE


Nel 2010 è stato pubblicato un testo che presenta una coraggiosa tesi a riguardo della questione tibetana.. Gli autori sono Simone Pieranni e Mauro Crocenzi. Il titolo è "Brand Tibet”: la causa tibetana e il suo marketing in Occidente", edito da DeriveApprodi. Il piccolo saggio sta avendo una discreta diffusione tra coloro che si interessano all’argomento.
I rapporti tra Cina e Tibet vengono analizzati secondo un’ interessante e ardita luce.
L'Occidente si dimostrerebbe interessato alla questione tibetana in quanto ignorante in merito ai veri rapporti storico-sociali  tra i due paesi  asiatici e affascinato dal mito positivo creato intorno al Tibet. Il fatto che molti ignorino le concrete e dettagliate relazioni tra i due paesi nel corso della storia non presuppone che tra questi non esista una tensione reale. La questione tibetana c'è ed è un problema 
L'interesse dell'Occidente sarebbe, secondo gli autori, giustificato da una mera assuefazione di un'immagine spirituale un po' forzata creata appositamente, con il tempo, dal Dalai Lama e dal governo tibetano in esilio a Dharamsala.
In questa prospettiva il Free Tibet diventerebbe un brand, un logo trito e ritrito, una forma di marketing e moda utilizzati nei contesti più disparati e divergenti, lontani dalle reali necessità del popolo tibetano.
Questa prospettiva sarebbe confermata dal sostegno arbitrario dato alla causa da parte di personaggi noti o meno noti che sventolano una bandiera che è in sè l'icona di un mondo sacro e perduto.
La causa tibetana è diventata, secondo questa tesi, un endorsement, un messaggio pubblicitario diffuso grazie all'utilizzo di un testimonial, un’icona; non importa se essa sia Richard Gere o il Dalai Lama. Servirsi un testimonial per diffondere un messaggio sul rispetto dei diritti umani non significa necessariamente che la questione che viene proposta non sia problematica. La questione tibetana c'è ed è un problema 

Secondo quest'ottica, sostenere il Tibet significa, in realtà, essere anticinesi. Deprecare l'azione cinese in Tibet equivarrebbe, in realtà, a disprezzare la Cina per nascondere il timore che attraversa l'Occidente in merito alla ruggente avanzata economica che sta effettuando.
La Cina viene inoltre temuta perchè rappresenta lo spettro del modello comunista asiatico, minaccia per l'Occidente capitalistico.
Il problema non sta nell'individuazione dei possibili punti di accusa nei confronti del colosso cinese. Bisognerebbe evitare di confondere i piani di analisi. Non si decide di appoggiare  il Tibet perchè in realtà si disprezza e si teme la Cina tout court. Si appoggia il Tibet per il problema che in esso è presente, per i rapporti che esso ha con i cinesi,  perchè  la questione tibetana c'è ed è un problema.

 I soprusi subiti dal Tibet negli ultimi anni hanno sicuramente mosso il mondo e suscitato l'interesse di gruppi tra loro anche molto eterogenei. Il  fatto che gruppi come la Lega Nord e il neofascismo italiano dimostrino interesse per la causa, non significa che il problema non esista, che non vada affrontato o che la motivazione risiede semplicemente in un gesto di opposizione all'ombra rossa del comunismo.
Molti occidentali ignorano la complessità dei  rapporti sino-cinesi. Questo non vuol dire affatto che non esista una reale emergenza. A volte non occorre conoscere appieno tutti i dettagli storici per determinare l'evidente ingerenza di un popolo su un altro.  La questione tibetana c'è ed è un problema.

Prima del colonialismo le relazioni tra Tibet e Cina furono animati da ottimi rapporti. Sarebbero state le potenze occidentali ad importare principi quali l'idea di Stato-nazione, sovranità e indipendenza.
L'ingerenza propagandistica dei suoi principi da parte dell'Occidente è cosa nota. Tale dimensione è estendibile ben oltre il colonialismo inglese. E' opportuno però non confondere i piani di analisi. Sottolineare il ruolo dell'Occidente nel rafforzamento di determinati ideali non significa che tali ideali non debbano essere legittimi in un Paese che in passato non li ha condivisi. La questione tibetana c'è ed è un problema 
Il rispetto verso il Tibet, e di conseguenza la formazione del brand, deriverebbero dalla graduale formazione di un "mito-Tibet". Il paese sarebbe stato col tempo accostato alla dimensione spirituale e misterica. Secondo questa prospettiva il mondo Occidentale sarebbe affascinato dal paese delle nevi per la sua dimensione pura e inalterata. A formare tale affabulatoria dimensione avrebbe contribuito non poco la politica progressista-pubblicitaria del Dalai Lama che, a detta di chi sostiene tale modello, avrebbe saputo sfruttare a suo favore il rinnovamento avvenuto negli ultimi anni all'interno del buddismo.
L'uomo occidentale sostiene il Tibet perchè vede in esso e nella sua religione il modello di quella vita spiituale di cui ha bisogno, perchè schiacciato dall'alienazione e dalla logica del profitto e del lavoro moderni.
Il Tibet è un paese che ha in sè molte dimensioni. Quella spirituale sicuramente è una di queste.Non è la sola. Così come l'Occidente è cristiano e laico al tempo stesso. Ogni popolazione ha i suoi punti di forza così come i suoi limiti. Il buddismo non è religione interpretabile a pieno piacimento, non è moda; così come il "modernismo buddista" non è la via più facile per ottenere consenso. L'apertura del buddismo al vivere moderno ha seplicemente puntato ad un alleggerimento degli aspetti più dogmatici e fidestici. Un processo simile si è verificato anche per il mondo cristiano cattolico con il Concilio Vaticano II.
L'internazionalizzazione della causa tibetana non è studiata a tavolino così come non si serve di un immagine falsa e posticcia creata ad hoc per le diverse circostanze. La questione tibetana c'è ed è un problema 

Non si può generalizzare la natura pacifista dei tibetano così come non si può estendere l'etichetta violenta a tutti gli han. La repressione cinese è sicuramente da condannare. E' opportuno comunque fare sempre chiarezza rispetto alle complesse dinamiche sino-tibetane nel corso della storia dell'ultimo secolo.

I rapporti, più o meno pacifici, tra Cina e Tibet ci sono sicuramente stati. Basti ricordare la figura della principessa  Weng Cheng e l'accordo matrimoniale tra i due imperi nel VII sec. I sostenitori della posizione cinese, coloro che identificano l'occupazione come una liberazione, riappropriazione di quello che gia' apparteneva all'Impero, vedono nella politica di accordo del XIII sec, tra sakya e Yuan mongoli, il primo embrione di un processo che vede definitivamente la fine della piena indipendenza del Tibet, la prima forma di annessione. 
Ma la Cina, ricordiamolo, nasce solo nel 1912, con la caduta dell'impero.

Neanche il positivo rapporto con la dinastia Ch'ing, a partire dal XVIII secolo, puo rappresentare una valida giustificazione ad un'ottica di legittimazione. Senza dubbio e' da considerare il ruolo positivo della dinastia nei confronti della diffusione del buddhismo o a riguardo nelle minacciose popolazioni nomadi mongole. Nonostante cio' l'atto di sottomissione politica all'Impero non si concretizza in un potere e controllo effettivi. Possiamo parlare ancora di autonomia politica. L'impero esercitava una forma di protettorato.

Le motivazioni dell'invasione del Tibet vanno ricercate negli ideali serpeggianti all'interno della Repubblica cinese al momento della sua nascita: un forte nazionalismo e una politica di integrazione culturale forzata. Ma il Tibet tra il 1912 e il 1951  e' una nazione grande come l'Europa occidentale, totalmente indipendente. O meglio: avrebbe potuto portare avanti una piu forte politica indipendentista. Il fallimento di tale progetto e' probabilmente di natura sia esterna che interna: non si ebbe un convinto supporto britannico; ci furono troppe rivalita' politiche all'interno degli stessi schieramenti tibetani, poco inclini ad accetare incondizionatamente un potere centrale evidenziabile nella figura del Dalai Lama.
La stessa Cina non applico' subito il su progetto di annessione perche' impegnata a fronteggiare problemi piu' pressanti come la guerra civile con i comunisti, l'imperialismo giapponese e la seconda guerra mondiale.
Ma con Mao e la RPC  gli ideali comunisti di egalitarismo ateo male si accostavano alla vicinanza con un paese cosi' legato al buddhismo.La repressione fu quasi percepita come d'obbligo.

Poco vale ricordare la posizione moderata di Deng Xiaoping negli anni 80’, se la accostiamo alla massiccia migrazione di han sul suolo tibetano e all'ideale di forte identita' cinese che essa veicola. Un'identita' mutietnica che i tibetani hanno pagato con la graduale cancellazione della loro cultura originaria. Non e' un caso dunque se, proprio negli anni 90’, dopo le rivolte di Lasha del 1987, sia avvenuta la crescita della politica repressiva e delle campagne di "rieducazone".

Oggi, dal punto di vista del diritto internazionale, il Tibet viene riconosciuto come nazione indipendente “De jure e de facto”.
Considerare come giustificazione all'occupazione i passati rapporti prima della nascita della RPC equivarrebbe a poter legittimare possibili diritti dell'Inghilterra sulla Gran Bretagna in virtù dell'antico potere coloniale.
In verita' la RPC non rivendicava quello che le apparteneva, seplicemente cercava di uniformare un territorio che percepiva come proprio, un territorio fastidiosamente arretrato, religioso, spirituale. La Cina percepiva nella sua azione di dominio un preciso obiettivo: quello di liberare il Tibet, antico territorio protetto dal celeste impero, dalle ingerenze delle forze imperialistiche occidentali. La sorte, ironica, ha visto in quelle stesse forze, uno spiraglio di salvezza, una cassa di risonanza per una voce di protesta contro le violazioni dei piu' essenziali diritti umani. Una voce che, con o senza brand, continua a farsi sentire.

La tesi sostenuta da  Pieranni e Crocenzi  è dunque riginale e ardita ma, a mio avviso, poco condivisibile. Si possono inoltre fare ulteriori osservazioni.

da sangye.it
Non si può comunque ignorare una condizione di oppressione che dura da anni. Quelli della Rivoluzione culturale sono stati sicuramente gli anni peggiori, anni in cui centinaia di monasteri sono stati distrutti, migliaia di monaci e tibetani laici sono stati incarcerati e uccisi. Durante la Rivoluzione culturale venne proibito addirittura di sedersi con le gambe incrociate perché considerato reazionario. I tibetani furono forzati a snaturare la loro cultura, le loro fonti di sostentamento, la loro tradizione, il loro cibo. La collettivizzazione delle campagne, legata al Grande balzo in avanti, impose la sostituzione delle culture di orzo con il cinese riso.
In quegli anni il Tibet era amministrato da Hu Jintao, l’attuale presidente della Repubblica!!!!
Oggi la Cina sfrutta il Tibet per le sue risorse minerarie. Il Paese delle nevi è  una delle zone più ricche di oro al mondo. Ma sono presenti ingenti giacimenti di ferro, bauxite e rame. Sotto il suolo tibetano si trovano minerali per oltre 150 miliardi di dollari. Quello che si froda viene poi sostituito con scorie nucleari selvaggiamente stoccate e abbandonate nei contesti naturali più disparati.
Ma il Tibet non è appetitoso solo per le risorse minerarie e le discariche a cielo aperto. E’ anche il più grande deposito di acqua al mondo. Più dell’80% dell’Asia vive con l’acqua proveniente dal Tibet. Un bel business!
E’ poi da considerare libero un paese dove si rischiano 7 anni  di carcere se si possiede una foto del Dalai Lama o una bandiera tibetana?  O è libero quello dove grandi autoparlanti diffondono il “radiogiornale di propaganda” mattina e sera? Non è libero un paese dove , se si grida “ Rangzen”, Libertà, si finisce in carcere. Non è libero un paese dove si finisce in carcere “preventivamente”, per creare terrore negli altri, in coloro che “potrebbero” alzare la testa.Cosa sono le carceri tibetane oggi? Luoghi dove esiste ancora la tortura, la sevizia, il “thamzing”, le sessioni di lotta punitive imposte ai detunuti. Che differenza c’è tra i laogai e i campi di concentramento nazisti?
Cos’è il Tibet oggi? Un paese oppresso, controllato, sfruttato. La regione più povera della Cina dove il tasso di analfabetismo supera il 75 %. La disoccupazione è elevatissima e l’Indice di sviluppo annuo è tremendamente basso. In questo paese i giovani tibetani non trovano un lavoro dignitoso. La maggior parte degli impieghi tibetani spetta agli han. Nelle scuole è stato reintrodotto il tibetano come prima lingua. Si, ma come arma a doppio taglio, perché nelle università si parla esclusivamente cinese. Coloro che lasciano il Tibet e trovano rifugio a Dharamsala per prepararsi, studiare e sviluppare delle competenze, sono poi costretti a rimanere in esilio, se non vogliono morire di fame. Si, perché in Tibet non c’è posto per coloro che si sono affacciati al mondo; vengono considerati reazionari, pericolosi. E a Dharamsala? Cosa sono i tibetani? Non godono di asilo politico, né dello statuto di rifugiati. Non hanno cittadinanza indiana, tibetana, cinese.
Dal Tibet si fugge, si fugge ancora oggi. Le vie di fuga sono quelle del confine con il Nepal e l’India. Secondo le stime  che ho raccolto a Kathmandu, grazie al centro di accoglienza, molti di questi profughi non arrivano mai a destinazione: muoiono di freddo, di fame, di stenti, o arrivano con principi di congelamento, con i piedi martoriati da un percorso impossibile. Ma alcuni raccontano una storia diversa: dal Tibet si esce liberamente, i cinesi chiudono volentieri un occhio davanti alle fughe, ad alcune fughe. “Andate pure via! Meno siete, meno problemi ci create!”
La richiesta portata avanti dal Dalai Lama fino a qualche tempo fa appariva accettabile: si chiedeva un’autonomia culturale e religiosa. La possibilità di continuare le tradizioni tibetane senza paure e soprusi. Dov’è la libertà religiosa oggi? Dov’è finito il Panchen Lama? Dal 1995 di lui e della sua famiglia non si hanno più notizie. Ma nel frattempo Pechino ha ben pensato di eleggerne uno nuovo, uno compiacente. Gyancai Norbu è, guarda caso, figlio di due membri del Partito comunista. Strane coincidenze accadono in Tibet! Sarà questo nuovo Panchen Lama a dirigere le prossime operazioni per l’individuazione della reincarnazione del Dalai Lama. Probabilmente tali operazione saranno instradate su un candidato altrettanto compiacente alla politica di Pechino. La “cricca” del Dalai Lama sarà allora definitivamente neutralizzata? No. E’ questo il problema: non si tratta di cricche o marchi. La questione tibetana c’è ed è un problema!

Cosa ha fatto veramente l’Occidente per l Tibet negli anni dell’invasione? Quando El Salvador presentò una mozione all’Onu nella quale si chiedeva un intervento a favore del Tibet, non rispose nessuno. Chi ha provato a ribellarsi? I tibetani, i kampha della resistenza in Mustang. Certo, la Cia ha sicuramente apportato il suo contributo, ma chi voleva realmente mettersi contro il colosso cinese? Cosa fa oggi l’Occidente? Cerca di sostenere una causa, una causa legata ad una condizione reale. La questione tibetana c’è ed è un problema!
Non si può ignorare quello che accade. Quello che è stato e continua ad essere.
Si respira un’aria nuova a Dharmsala. Non è solo l’elettricità nell’aria che precede il monsone.  Un nuovo volto, quello di Lobsang Sangay, appare una speranza, una possibilità. La fine di una politica e l’inizio di qualcosa di nuovo. La Cina preoccupata non rimane a guardare:chiude le porte al resto del mondo, crea problemi con i visti. Non vuole che il resto del mondo veda quello che accade, o che potrebbe accadere!

mercoledì 29 dicembre 2010

Natale in Nepal

....e mentre Benedetto XVI lamenta le persecuzioni dei cristiani nel mondo.....il Nepal permette una pacifica festività natalizia. I motivi sono economici, i motivi sono di stabilità. Ma, nonostante tutto, se il cristianesimo non fa proselitismo spinto, perchè non tollerarlo?
Nella graziosa chiesatta dedicata a Maria a Kathmandu anche i cristiani, quest'anno, si sentono sicuri.
Un po' di pace e certezza in Nepal, almeno dal punto di vista religioso.
Le stelline del Natale distraggono dall'ultimo tormentone, quello delle fonti di Wikileaks, secondo le quali il governo indiano avrebbe, non velatamente, appoggiato l'operato maoista in Nepal per scongiurare un rafforzamento della monarchia. Altri files denunciano il pagamento di ingenti somme di denaro da parte della Cina affinchè il governo neaplese arrestasse i tibetani.
Le luci natalizie saranno in grado di allontanare i riflettori da queste dichiarazioni?
Forse la luce di Diwali rimane, a buon merito, più sfavillante per i nepalesi. E quella della verità?

venerdì 12 marzo 2010

Tibet: Olre 51 anni di oppressione



Anche in occasione dell’anniversario per i 51 anni dell’occupazione del Tibet la Cina tenta di offuscare un concetto basilare: il Dalai Lama non richiede l’indipendenza del Tibet ma la sua autonomia. Si continua a negare il fatto che il governo cinese sta progressivamente eliminando il buddhismo.
A detta del neopresidente della Regione autonoma cinese Padma Choling, ciò non corrisponde al vero. I buddisti sarebbero liberi di praticare la loro “religione”.
In realtà i monaci sono costretti in condizioni di semi-schiavitù…mentre il mondo resta a guardare.
Ieri a Kathmandu, in Nepal ci sono state pesanti manifestazioni anticinesi in occasione del 51 anniversario dell’oppressione tibetana. Il governo nepalese ha risposto con la violenza e ha arrestato 34 persone. Come si era comportato negli anni 70’, quando gruppi di resistenza armata formatisi in Mustang, avevano cominciato a portare avanti il loro piano di ribellione? Attaccando! Si, attaccando ma promettendo collaborazione. Quale è stata mai la collaborazione? Nel 2008 ho visto con i miei occhi le manifestazioni anti Pechino a Kathmandu, i giovani tibetani trascinati con violenza per strada.
Con la caduta della monarchia nepalese nel 2006 e la salita al potere dei partiti maoista (Unified Communist Party of Nepal) e leninista-marxista (Unified Marxist–Leninist) il Paese ha iniziato a stringere accordi economici con Pechino.
Quanta parte del mondo sa che, fino ad ora, questa ingiusta occupazione ha causato circa 1 milione di morti? Parliamo tanto dei genocidi del mondo, degli ebrei, degli armeni…e il Tibet? Dov’è? Chi manifesta interesse?
L’altro giorno un giovane mi ha chiesto: “Ma nessuno fa niente? E l’America? Possibile che l’Onu o la Nato non intervengano? Abbiamo fatto tutto quel casino per l’Iraq che è pure più piccolo!”
Cosa dovevo dirgli?