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lunedì 14 settembre 2015

La ragazza oleandro: una Divakaruni poco convincente

Nuovo esperimento letterario della Divakaruni, la conosciutissima autrice indo-americana. Dopo l'esperimenti di rifacimento del Mahabharata in Il palazzo delle illusioni e le favole per bambini in Anand e la conchiglia magica, le storie della Divakaruni tornano ad ambientarsi in parte sul suolo statunitense seguendo la scia del ben pooco noto e apprezzato Raccontami una storia speciale. Nel nuovo romanzo, La ragazza oleandro, la città di New York è il luogo di antiche origini da ritrovare in un processo migratorio inverso rispetto a quello post-coloniale. Se da una parte la scrittrice non riesce a ritrovare la carica emotica di romanzi come Sorella del mio cuore e Il fiore del desiderio, dall'altra ci stupisce con una vitalità di colpi di scena e un plot dinamico che nulla ha a che vedere con il ben troppo noto La maga delle spezie.
Non si tratta della solita storia d'amore. Karobi, la ragazza oleandro, appartiene ad una famiglia bengalese di antico lignaggio, fatta di tradizioni, rispetto e rigide norme morali e sociali. L'eccessivo controllo da parte del nonno la fa crescere in un mondo ovattato e fuori dal tempo dove la modernità della Calcutta del primo decennio del 2000 sembra non entrare. La semplicità e ingenuità della ragazza colpiscono il rampollo Rajat. Il matrimonio viene organizzato in brevissimo e tutto sembra procedere come in una delle più classiche favole a lieto fine. Ma entrambi hanno ombre nel proprio passato. Il prestigioso lignaggio  bengalese che tanto è apprezzabile nella fanciulla è in verità messo in discussione. Per scoprire le proprie origini Karobi farà un viaggio in America dove tenterà di far luce su se stessa e sull'identità di suo padre. I colpi di scena certo non mancano. Da pura hindu Karobi si rivela essere una "bastarda meticcia". Emerge chiaramente la difficoltà, presente ancora oggi in India, di accettare unioni intercastali o interraziali. Sullo sfondo di questa storia sentimentale si affollano alcune difficoltà ulteriori: l'odio per il diverso dopo l'11 settembre in America; gli scioperi sindacali delle società indiane;la violenza dei gruppi naxaliti; la fame di denaro e successo dell'India moderna; la politica spregiudicata; il ricatto e il potere del denaro; i gruppi integralisti hindu; i disordini seguenti ai tragici incidenti del Gujarat . Ma emergono anche buoni sentimenti, come quelli del fedele Asif per la piccola Pia o quelli della nonna di Karobi  impegnata a preservare l'antica casa di famiglia e i suoi ricordi. Karobi ci ricorda spesso una piccola Lucia Mondello, un po' troppo fragile e stucchevole. Fortunatamente il suo personaggio si anima leggermente a contatto con la realtà americana. Scrittura non certo affascinante quella della nuova Divakaruni ma la storia è coinvolgente e la  suspance rimane alta fino alla fine anche se assolutamente prevedibile. Peccato per il finale frettoloso e poco convincente rispetto al dettaglio dei capitoli precedenti.

lunedì 7 aprile 2014

L'Incrocio tra Venezia e Jhumpa Lahiri

Dedico questo post agli amici indofili che non hanno potuto partecipare a questo incontro. In particolare a Clara Nubile, ringraziandola per lo scambio di parole, libri e articoli, dall'India all'Italia, caratterizzato da un'incredibile serie di coincidenze.

Altera, riservata e serissima. Jhumpa Lahiri arriva a Venezia e dona tanto e poco di sè al pubblico di Incroci di civiltà accorso  per l'ultimo importante incontro dell'edizione 2014. Certo resta sullo sfondo il confronto con gli autori indiani che hanno concluso le passate edizioni : Rushdie, Ghosh, Seth, Naipaul. E' forse così spiegabile lo sguardo algido della bellissima quarantottenne bengalese.
L'incontro comincia con la lettura di un brano tratto dal suo ultimo romanzo, The Lowland. Legge in italiano e sorprende il pubblico per il suo accento quasi impeccabile.
La Lahiri è un'autrice di "seconda generazione" nella letteratura anglo-indiana. La prima generazione è quella degli autori che hanno impresso una svolta  decisiva  nel panorama linguistico di questo ambito. Basti ricordare i Figli della mezzanotte di Rushdie nel 1980 o il Dio delle piccole cose di A. Roy nel 1997. The Interpreter of maladies, la  prima raccola di racconti della Lahiri, esce due anni dopo, nel 1999.
Il suo esordio con la scrittura nasce lentamente dopo la laurea, con la partecipazione ad un corso di scrittura creativa a Boston. In quell'ambiente, per la prima volta, si sente realmente appartennete ad un gruppo; per la prima volta sente di poter definire una propria identità che non sia quella sempre in bilico tra una cultura e l'altra.
E quando comincia a scrivere le sorge un dubbio: quale cultura descrivere? Quella bengalese o quella indiana? L'aiuto, la risoluzione di tale dubbio, l'ispirazione, le giungono spesso dalla sua famiglia, dai racconti di suo padre, un piccolo grande uomo che esattamente 50 anni fa lasciò Calcutta per Londra e, successivamente, con una moglie e una figlia, per gli Stati Uniti.
La scrittura la aiuta a risolvere una sensazione di straniamento continuo che avverte in una terra che le appartine completamente e, allo stesso tempo, solo in parte.
La scrittura, per svolgere la sua funzione, deve essere abitudine, una disciplina ferrea, qualcosa con cui avere un contatto quotidiano.
Di una storia Jhumpa Lahiri individua un ingresso, varca una soglia. Scene, personaggi e situazioni vengono poi naturalmente. La scelta di un'entrata parte da uno spazio buio, una stanza ignota nella quale scegliere, cercare, trovare, fallire e ricominciare. Le stanze della scrittura, del racconto e del romanzo, coesistono in lei come in un palazzo, un'antica residenza Rajput piena di misteri e bellezza da scoprire.
Lo spunto a volte nasce da una storia vera, un episodio  realmente accaduto per le strade di Calcutta. E' questo il caso di Lowland: l'evento reale è l'uccisione di due fratelli avvenuta davanti agli occhi impotenti dei genitori. Da questo evento la scrittrice bengalese comincia a limare la sua storia, a creare tragicità e speranza.
Le ispirazioni, gli incipit, le idee per una storia vengono sviluppate e poi abbandonate per poi essere riprese e rimanipolate, a volte ancohe dopo 10 anni. Quello dello scrittore è un lavoro artigianale, meticoloso.
Racconti o romanzi. In tutte le sue opere è sempre lo stesso l'assillante tema: la diversità, la difficoltà dell'integrazione. E' così anche per Gogol, protagonista del suo primo romanzo, Namesake. Anche questa volta lo spunto arriva da un evento reale: il nome bizzarro di un ragazzino di Calcutta. Personale e reale è anche il difficile rapporto che la scrittrice ha con il suo nome in una società, quella americana, così diversa da quella indiana.
Il ritorno al racconto, nel fluire oscillante della scrittura della Lahiri, arriva con "Unaccustomed Earth" del 2008. Protagonisti sono questa volta giovani indiani di seconda e terza generazione alle prese con una realtà quotidiana che si è allontanata sempre più dall'India. E' in questa raccolta che fa capolinea l'Italia, nella trilogia finale di racconti ambientati a Roma e a Volterra.
Ma è con Lowland, La moglie (nell'edizione italiana) che la Lahiri torna al romanzo e quasi definitivamente in India. Il tono piatto, asciutto, scarno, paratattico di questo ultimo lavoro è il frutto di una scelta studiata, un allontanamento consapevole dall'artificiosità del fraseggiare inglese. Una scelta voluta che la soddisfa ma che, forse, a breve cambierà.
Oggi la Lahiri vuole scrivere in italiano. Per questo ha cominciato la collaborazione con la rivista settimanale Internazionale. L'italiano è il mezzo per fuggire dall'inglese e per fare un sondaggio di se stessa. Tale scelta rientra nella sua mancanza di reale appartenenza ad una lingua, sia quella bengalese che quella inglese.
L'interesse per l'Italia chude l'incontro. E' una riflessione su Venezia quella che la scrittrice legge salutando timidamente il pubblico, quel pubblico al quale,  quasi mai  per un'ora e mezza di dialogo, ha rivolto lo sguardo contenuto e pudico. Descrive in italiano  Venezia e la definisce inquietante ed onirica, dalla topografia disordinata. Venezia è il luogo dove è costante il dialogo tra ponti e calli. Scrivere in un'altra lingua equivale ad attraversare un ponte: l'inglese scorre sotto i piedi come l'acqua naturale, l'acqua che manaccia di inghiottirla. Ma i ponti aiutano ad evitare il contatto con l'acqua, la aiutano a salvarsi. Lo smarrimento naturale di ogni straniero  a Venezia equivale allo smarrimento della scrittura in italiano: una sensazione sconvolgente e intrigante, necessaria.
La Lahiri veneziana passa da un ponte all'altro con lingue e storie diverse che affascinano il suo pubblico

domenica 23 marzo 2014

Jhumpa Lahiri a Incroci di civiltà

Come ogni anno segnalo la partecipazione indiana o anglo indiana alla manifestazione culturale veneziana Incroci di Civiltà. Sabato 5 Aprile, alle ore 18.00, presso l'Autitorium di Santa Margherita di Venezia, sarà presente la scrittrice Jhumpa Lahiri.
Il rapporto della Lahiri con l'Italia è ormai di lunga data. Nata da genitori bengalesi e cresciuta a Londra e negli Stati Uniti, ha sempre avuto un rapporto difficile con la lingua nativa. La scrittura la avvolta  nella naturalezza dell'inglese e oggi la vita l'ha portata a vivere a Roma dove un'altra lingua, l'italiano, l'ha stregata e appassionata. Del suo interessante e intricato rapporto con le lingue  la Lahiri parla in una serie di brevi racconti che stanno uscendo sul settimanale Internazionale.
Il testo che l'ha resa nota al pubblico italiano è la raccolta di racconti L'interprete dei malanni. Opera che le è valsa il Premio Pulitzer per la narrativa del 2000.
I racconti della Lahiri sono esperienze lontane e vicine dall'India. Emerge il vissuto di chi risiede ormai lontano dal suo paese e cerca di ricostruirsi una vita. Ambientazione spesso americana, spesso legata la mondo universitario dei campus, spesso legata a giovani mogli non scelte e poi accettate. Emergono il dolore per la lontananza; lo sfondo della guerra per l'indipendenza del Bangladesh e la fratellanza bengalese in America; la povertà il dolore e la dignità del popolo indiano; la difficoltà di adattarsi ad una nuova vita; il successo e la sete di denaro e riconoscimento sociale.
In Una nuova terra (2008) protagonisti sono sempre immigrati (più spesso personaggi femminili) di seconda generazione dall’India o dal Bengala agli Stati Uniti, specchio evidente della situazione vissuta in prima persona dalla scrittrice stessa.
Dal romanzo Namesaze, L'omonimo, la regista Mira Nair ha invece tratto il celebre  film Il Destino del nome. Recentemente in Italia è uscito, sempre per l'editore Guanda, il romanzo La moglie. Questa volta la Lahiri sceglie un'ambientazione è quasi  totalmente indiana, quella di Calcutta. La storia di due fratelli molto diversi tra di loro e del nobile gesto di uno di loro: salvare una donna sola dall'ignoranza e crudeltà di una certa mentalità bengalese.

venerdì 21 marzo 2014

Addio Khushwant Singh


Non è arrivato per poco a 100 anni lo scrittore Khushwant Singh morto ieri a Delhi. Lo ricordiamo per gli splendidi romanzi, tra cui l'indimenticabile Quel treno per il Pakistan, e i numerossissimi racconti editi per la Penguin . Singh era sicuramente uno degli scrittori più importanti dell'India  moderna. Attraversando un secolo ha potuto raccontare la tragedia della partizione e la decadenza di una cultura ( Delhi).
Con  lui se ne va una figura di spicco, caparbia e coraggiosa. Il coraggio di saper uscire dal coro, di saper raccontare la crudezza e il limite della violenza.  Come, e forse più di lui, a rendere la tragicità della parzizione è riuscito solo Saadat Hasan Manto (morto di alcolismo a soli 43 anni).
Nel paese che, a volte scioccamente e presuntuosamente, l'Occidente vede come solo "spirituale", Singh si dichiarava ufficialmente agnostico e rivendicava il suo disprezzo per ogni forma di religione organizzata.
"One can be a saintly person without believing in God and a detestable villain believing in him. In my personalised religion, There Is No God!" (The God, the bad and the ridicolous)
Ma è sua una staordinaria Storia dei sikh del 1967 e la volontà di affermare la necessità di uno stato laico. Quella di Singh, come  quella  di S. Rushdie, è la voce scomoda dell'intellettuale che sa usare una lingua diversa e accusare le false ideologie, l'idolatria e il perbenismo legato ad un'appartenenza comunitaria spesso falsa e perversa. In questi giorni di campagna elettorale, tra i toni del nazionalismo marcatamente intollerante e fondamentalista, scompare la voce saggia di chi ha visto con i propri occhi lo scorrere degli anni cruciali per l'India. E la sua oggettività, la sua reale conoscenza dei fatti,  si tace nei giorni che vedono riemergere antiche e profonde intolleranze di matrice religiosa.
In Train to Pakistan riecheggiavano le grida  e il silenzio di giorni altrettanto folli. Così apre il suo testo:

 "Muslims said the Hindus had planned and started the killing. According to the Hindus, the Muslims were to blame. The fact is, both sides killed. Both shot and stabbed and speared and clubbed. Both tortured. Both raped." (W. Singh, Train to Pakistan)

Ma Singh verrà ricordato anche per il coraggio dei temi affrontati, per l'esplicito riferimento a situazioni e fatti marcatamente erotici altrimenti visti come tabu nella società indiana (La compagnia delle donne). Con un linguaggio delicato e letterario, Singh descrive con naturalezza prostitute, amanti e travestiti. Non c'è volgarità, oscenità, pornografia delle sue parole. Le sue pagine raccontano la naturalezza di gesti e sensazioni umane.
Una produzione ricchissima, la vita, la morte, il piacere, la vecchiaia, la libertà, la violenza e l'ardore. Addio Khushwant Singh.

giovedì 20 giugno 2013

Grimus: il primo, alterato, Rushdie

Grimus:Simurg
Qual è il nesso tra l’insuccesso del primo e introvabile romanzo di S. Rushdie e il suo successo seguente? Leggendo Grimus, l’esordio degli anni ’70 del romanziere indiano, ci si pone tante domande, e non sempre è facile darsi una risposta. Alcuni lo hanno definito romanzo di fantascienza, altri romanzo visionario. Nulla di  tutto questo, perché Grimus è questo e molto altro altro ancora, ma anche niente di tutto questo.
Ok, calma, calma e sangue freddo. Quella che ci vuole  molte volte quando si leggono le prime 30 pagine di un romanzo di S. Rushdie.
Più che da Asimov o Delany, Grimus sembra più ispirarsi a Huxley e ai suoi paradisi artificiali. L’alterazione narrativa è quella dei piani della coscienza. Rushdie descrive un mondo realmente irreale dove vivono coloro che hanno scelto l’immortalità attraverso una boccetta dal liquido giallo che ricorda la pillola rossa o blu di Matrix.
Isola di Carf è l’isola degli immortali. Un isola fantastico-immaginifica dove il protagonista, Aquila Svolazzante, va in cerca della sorella-madre-amante Cane da Penna. Il viaggio è quello della coscienza, sul piano delle dimensioni interne, attraverso l’immaginazione. Sull’isola sono presenti interessanti personaggi. Ognuno di loro ha una storia da raccontare e un passato da dimenticare. Tra le bizzarre presenze c’è quella della coscienza parlante del Gorf, l’entità pietrificata dotata di poteri mentali che riescono ad alterare anagrammaticamente il loro ambiente e  le coscienze altrui. Carf è kaf, la lettera k araba, o almeno una delle sue pronunce.Nell’isola di Carf ognuno deve avere un interesse principale al quale dedicare tutta l’eternità. Il nano-filosofo Gribb, ad esempio, raccoglie massime del pensiero adatte ad ogni circostanza. Ma anche nella prospettiva dell’eterno di verificano  dei blink, intervalli di non essenza che provocano ulteriori alterazioni e un fortissimo senso di straniamento.
L’alterazione dell’immaginazione passa da Huxley attraverso  Bukowki così che il viaggio assume una forte connotazione erotico-ossessiva e Aquila svolazzante entra in vagine che diventano caverne, nuovi mondi interiori da esplorare. Un erotismo che caratterizzerà molti altri romanzi di Rushdie; una spinta, una pulsione verso donne la cui bellezza abbaglia e sconcerta. Un erotismo che affida alle donne un potere, un dominio capace di distruggere quello che le circonda e che il personaggio maschile cerca di arginare con azioni e atteggiamenti mentali fallocentrici.
Il vero protagonista del romanzo è forse la follia, la negazione del passato e la sua ossessiva rievocazione nell’eternità scelta. Al posto del Realismo magico, di cui questa storia è un pallido eufemismo, Rushdie dosa i piani mentali possibili e il timore costante di trovarsi in un sogno o sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente.
Quella di Carf è una comunità utopica dove tutto “apparentemente” funziona perché Grimus crea l’Effetto affinchè ciò avvenga: non esiste denaro, non esistono le classi sociali o la lotta tra classi. Cosa lo rende possibile? La presenza di una forza ostile potente che rende accettabile l’annullamento delle differenze pur nella comune ricerca di un mezzo per sopravvivere. Con l’arrivo dell’elemento nuovo ed esterno l’equilibrio si altera così la passione, la gelosia, il desiderio incontrollabile, la vendetta la violenza fanno il loro ingresso nella comunità di Carf così come nei successivi romanzi di Rushdie. Solo una cosa può salvare: rimanere nel “bozzolo “del  passato e nelle “minuzie “del presente. Vivere per le proprie ossessioni fa sentire distaccati, inebriati e completi. Distrarsi da ciò equivale a rendersi vulnerabili rispetto alle dimensioni della coscienza.  Grimus, a differenza degli altri uomini, sa che la “dimensione” in cui si sceglie di vivere è solo una di un’infinità possibile. Accettare la dimensione vuol dire cambiare il proprio essere.
L’azione, se non determinata da cristalli veggenti o rose di pietra dalla profondità dimensionale, diventa condizionata dai futuri possibili.
Grimus è il deus ex machina di una Febbre dimensionale difficile da controllare. Grimus è il Simurg, il signore degli uccelli, dei 30 uccelli. Un antico poema sufi racconta del viaggio di 30 uccelli per trovare il re di tutti i piumati. Il viaggio continua fino a quando i 30 uccelli non si accorgono di essere diventati loro stessi quello che stanno cercando. E così Aquila svolazzante diventa Grimus nel tentativo di cercarlo e distruggerlo.

Una trama esile per un romanzo corposo, denso  e concettuale che cade un po’ sulla banalità di certi luoghi comuni letterari. Una “prima opera” che presenta in potenza la ricchezza immaginifica del futuro Rushdie. Un romanzo non imperdibile che legge con gusto chi ha pazienza, attenzione  e il conforto dato dalla conoscenza delle opere successive di questo straordinario scrittore.

lunedì 10 giugno 2013

L'Ultimo sospiro del moro, S. Rushdie

Una storia che sa di pepe e cannella, ma senza la banalità esotica del masala.
Si intreccia la storia dell’India dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento. Il sorgere dello Stato indiano si contrappone alle ceneri del dominio moresco in Spagna tra Quattrocento e Cinquecento.
Il Moro è l’erede tardo di quei moriscos o marranos fuggiti dalla Spagna, da Granada, dopo il 1492.
“Non piangere come una donna per quello che non hai saputo difendere da uomo”
Le piccanti spezie sono quelle che intridono la  pelle delle forti figure femminili. Nella prima parte del romanzo  gli uomini non possono che soccombere a cospetto di una forza inarrestabile: nonne, madri, moglie o amanti. Sono le donne a dettare le regole del gioco. Le loro armi sono la lingua tagliente, la decisione dei gesti, una forte creatività artistica e una spiccata sensualità. Epifania, Belle, Aurora e Uma sono coloro alle quali è impossibile dire di no. Protagoniste di amori difficili, ostacolati e resi possibili con la forza dell’ostinazione e della sicurezza.
I figli, i partner di queste forti donne hanno spesso tratti in comune: genitori assenti e un forte bisogno di amore, suicidi e scomparse, un inevitabile ricorso all’immaginazione amica della solitudine e della sofferenza.
Una famiglia che commercia spezie da generazioni ma che sa ampliare i suoi commerci fino a giungere al traffico di droga, di armi e di prostitute. Una famiglia potente che diventa il simbolo dell’India nascente, quel paese che non esita a far ricorso alla violenza per affermare se stessa. La saga famigliare  si intreccia dunque con nomi altisonanti come Gandhi, Tagore, Nerhu, Bose, Indira Gandhi. Dietro alcuni personaggi appartenenti alla malavita e ai gruppi religiosi estremisti si rintracciano i tratti di politici  e figure tuttora viventi o scomparsi di recente. La stranezza e forza dei personaggi della famiglia Zogoiby  richiede un allontanamento dal resto del mondo, una posizione di distacco, superiorità e controllo. Da Cochin al Malabar, dal Kerala a Bombay, la famiglia vive su un’isola, quella di Cabral o di Elephanta.
L’arte è sicuramente una protagonista importante del romanzo. Aurora da Gama è l’artista eclettica ed eccentrica che dipinge gli stati d’animo più reconditi: passione, violenza, forza, tormento, follia. E folli diventano gli artisti che la stimano, emulano, amano, come Vasco Miranda o Uma. Rushdie riesce ad usare la parola-pennello per rendere viva e vibrante un’immagine pittorica evocativa e a tratti delirante.
L’Ultimo sospiro del moro è il titolo-quadro che collega il passato al presente. Il Moro è lo “sfortunato  el-Zogoybi, ultimo sultano di Granada, visto mentre abbandona l’Alhambra”. Ma il Moro è anche l’ultimo superstite di una famiglia di antichissime origini iberiche. Un uomo il cui tempo corre al doppio della velocità e che racchiude in sé la stirpe moresca, quella ebraica e quella indiana d’adozione. Il pizzico di realismo magico, indispensabile nei romanzi di Rushdie, è mescolato alle spezie, al pepe famigliare: il Moro nasce dopo soli 4 mesi e mezzo di gestazione nel ventre dell’artista Aurora e la sua vita procede a velocità doppia.
La  seconda parte del romanzo descrive, attraverso il pennello di Aurora, e  gli espedienti di coloro che la circondano, un’India corrotta, violenta, malvagia. L’India che, dai massacri post Indipendenza arriva, attraverso l’Emergenza imposta da Indira Gandhi, alla mafia degli anni 70’, al mondo dell’apparenza  del cinema e alla corsa verso la ricchezza ad “ogni costo”. Il pennello invasato di Aurora e la parola schietta di Rushdie rappresentano realtà in corsa inarrestabili, quei primi passi di un processo ancora in corsa oggi.
In questa corsa emergono i personaggi maschili: l’ebreo commerciante e trafficante  Abramo, il fanatico religioso misogeno Raman Fielding e i suoi picchiatori, il ragazzo-vecchio Moraes Zogoiby, l’artista bisessuale, innamorato e folle Vasco Miranda.
Attraverso queste figure la narrazione cambia registro per assumere le tinte della spy story, dei racconti di gangsters  e  delle lotte tra bande per il dominio della città. Non potevano quindi mancare reginette di bellezza e attricette Bollywood emblema di quella bellezza che vuole detergere nell’apparenza il marcio e l’oscurità della corruzione e del crimine.
La lotta per il potere, sulla città o sul cuore altrui, culmina nella distruzione, a partire da quella di Ayodhya, nella vendetta, nell’esplosione e nel sangue. La conclusione di un amore non spiegato o non condiviso giunge nel luogo da cui tutto è  arcaicamente iniziato, in Spagna. Anche qui, tra stradine assolate e contrade arroccate, sono ancora presenti le divisioni politiche della dittatura franchista appena conclusa. E’ in questa terra che il Moro racconta la storia della sua famiglia, la racconta per poter sopravvivere e per tentare di riappacificarsi con l’immagine di una madre nascosta sotto il colore de “L’ultimo sospiro del moro”.
Tutta la  straordinaria complessità del linguaggio di Rushdie in una trama avvolgente e accattivante. Forse uno dei migliori romanzi di questo interessante autore indiano.

Un frammento dal primo quadro di Aurora:


E tutto era ambientato in un paesaggio che […] era la Madre India in persona, la Madre India con le sue vesti sgargianti e il suo moto inesauribile, la Madre India che amava e tradiva e divorava  e distruggeva e tornava ad amare i suoi figli, e la cui lotta con questi stessi figli, eterna, appassionata e congiunta, si prolungava ben oltre la tomba; la Madre India che si stendeva tra grandi montagne che erano come grida dell’anima e lungo vasti fiumi pieni di pietà e di malattie, e attraverso aspri altipiani tormentati dalla carestia sui quali l’uomo spezzava col piccone il suolo secco e infecondo; la Madre India con i suoi oceani e le palme da cocco e le risaie e i giovenchi intorno al pozzo, con le sue gru sulla cima degli alberi che mostravano un collo che sembrava un attaccapanni, e gli aquiloni che volavano in cerchio nell’alto dei cieli […] S. Rushdie, L’Ultimo sospiro del Moro, pag. 71

giovedì 23 maggio 2013

Mirabai:la bellezza del bhajan hindi


La dedizione e l'amore. Un canto che insegna la bellezza e la fede incompresa, quella di Mirabai per Krisna.
 Meere to gridhar gopal nella bellissima interpretazione di Vani Jairam and Dinkar Kaikini dal film Meera del 1979. La musica è di Ravi Shankar.
I bhajan  sono una delle espressioni più riuscite della musica classica indiana. Trovano origine dal Sama Veda e sono dedicati a varie divinità. La melodia è solitamente semplice e ripetitiva così come il canto. Emerge prevaletemente la ripetizione del nome della divinità (namasmarana). Gli strumenti più utilizzati sono l'harmonium e le tabla

domenica 19 maggio 2013

Come posso rinunciare a Maya?

Dimmi Fratello,
Lumbini, Nepal, Agosto 2012
come posso rinunciare a Maya?
Quando rinunciai al costume di legare
dei nastri, ancora allacciai
le mie vesti attorno a me;
e quando rinunciai alle vesti,
continuai ad essere coperto
dalle pieghe. E così,
quando rinuncio alle passioni,
ancora mi resta l'ira;
e quando rinuncio all'ira,
mi rimane l'avarizia;
e quando la cupidigia è vinta,
superbia e vanità rimangono.
Quando la mente è distaccata.
e respinge Maya, rimane
tuttavia avvinta alla lettera.
Dice Kabir: "Ascoltami Santo!
il vero sentiero si trova di rado

Kabir, Il flauto dell'Infinito, V

lunedì 3 dicembre 2012

Moderni Satyagraha. Gandhi e la letteratura

Il Satyagraha di Kudankulam
Il tempo dei Satyagraha gandhiani sembra essere ormai lontano. Eppure talvolta qualche eco sembra riaffiorare. Basti ricordare le recenti manifestazioni di dissenso della popolazione  in Tamil Nadu per la costruzione di una centrale nucleare  a Kudankulam. Ad Ottobre la popolazione locale ha inscenato momenti di disobbedienza civile i quali hanno richiesto l'intervento di 5000 guardie di sicurezza.Qui le immagini di un recente Satyagraha indiano. Qui gli aggiornamenti delle proteste.
Le proteste dal basso, l'organizzazione di semplici villaggi di contadini e pescatori riportano alla mente i tempi dell'Indipendenza e gli animi accesi dalle parole del Mahatma Gandhi.
In Kanthapura, romanzo di Raja Rao del 1938, si rintracciano gli stessi moti del cuore e dello spirito.
 Kanthapura è un villaggio del Karnataka  gestito da un patel ed intriso di una forte religiosità e da una forte  divisione castale. Qui la diffusione della protesta gandhiana assume sfumature religiose. I racconti del Mahabarata e del Ramayana  sembrano sovrapporsi a quelli di una lotta presente per la libertà e l'indipendenza. Le caste, inizialmente in opposizione tra di loro, si uniscono in un solo grido: Mahatma Gandhi ki jai!  E' una rivoluzione femminile quella del villaggio. I braccialetti di vetro, le sari e le loro labbra sono rotte nel tumulto di una protesta che si vuole pacifica e che il potere non riesce e vuole capire. La protesta pacifica è quella della marcia silenziosa, della iarda di cotone filato in casa con il charka, la ruota per filare, per determinare lo swadeshi, per boicottare i prodotti dei "visi rossi". La strada per la libertà è quella della non violenza, dell'ahimsa. Dopo la battaglia silenziosa appare una luce, quella dello swaraj, quella di un lontano Nerhu, "il sostenitore della distribuzione egualitaria".
La liberazione dll'India diventa la liberazione di Sita. Ram, libero, tornerà dall'esilio e Sita  sarà con lui, non più nelle grinfie del perfido Ravana. Ma in quel tempo l'India avrebbe dovuto attaversare una nuova bufera, uno scontro nel quale il nemico sarebbe stato il "fratello vicino".
Il primo romanzo indiano sull'indipennza è Murugan the tiller scritto nel 1927 da K.S. Venkataramani insieme a  Kandan the patriot. La figura di Gandhi e il suo impatto sulla storia dell'India comapare anche in Intoccabile di M.R. Anand, dove un giovane spazzino finisce inavvertitamente   tra la folla che attende l'arrivo del Mahatma  tornando poi verso casa con la coscienza della sua identità, una coscienza che  prima non sapeva neanche di possedere. Anche R.K. Narayan, in Aspettando il Mahatma mette in luce i difficili anni dell'Indipendenza e la figura gandhiana. La prospettiva è sempre quella di un giovane, un ventenne pigro e sognatore che si avvicina a Gandhi per un capriccio amoroso; la sua conversione ai principi di  verità e non violenza è dunque piuttosto superficiale. Non ci si sorprende infatti nel vederlo virare verso le idee e i principi più materialistici e violenti di Chandra Bose. Uno degli ultimi romanzi aventi Gandhi come protagonista, diretto o indiretto, è sicuramente Mira e il Mahatma di Sudhir Kakar . Si tratta della  vera storia di Madeline Slane, una giovane inglese che assunse il nome di Mira quando venne ammessa nell'ashram di Gandhi presso il  fiume Sabarmati. Il romanzo, magistralmente scritto, è in verità un collage di lettere, pagine di diario e testimonianze dirette dei più stretti collaboratori del Mahatma.

lunedì 5 novembre 2012

Shining India, Alka Saraogi


Shining   in inglese significa lucente. Quello che brilla in questo nuovo libro di Alka Saraogi tradotto da Marco Zolli,  è il volto di un’India nuova, abbagliata dal progresso, dalla tecnologia, dalla sete di successo e dall’arrivismo sul mercato. Ma l’India nuova e scintillante avverte l’inadeguatezza all’interno di questa corsa senza vinti e vincitori.
Il lucente abbaglio è anche quello del ruolo che si riveste nella società. Quelli che sembrano facilmente collocati in una dinamica di  ruggente crescita si scoprono inadeguati, spogliati di ogni riconoscimento umano, sociale, sentimentale. Il top manager con la soluzione sempre pronta è anche l’uomo che si mette in discussione, che si scopre incapace ad amare o troppo coinvolto da un sentimento del quale non conosceva l’esistenza. Non c’è tempo per il cuore in un’India che avanza ruggente come “tigre sul mercato”.
Ma il lucente abbaglio è anche quello che offusca la nostra vista rispetto al conoscere  realmente chi abbiamo davanti. L’amico, la compagna di una vita, il confidente: chi conosciamo?Chi ci conosce? Cosa sveliamo di noi stessi? Qual è il vero volto delle persone che consideriamo importanti nella nostra vita? Quanto li conosciamo e quanto loro conoscono noi? In alcuni momenti la lucentezza delle nostre convinzioni viene meno e il bagliore fa spazio a scoperte inaspettate. Quella nuova luce ci acceca, ci stordisce fino a farci negare l’evidenza, perché le nuove scoperte, il crollo delle certezze, può essere doloroso e ferire il nostro ego.
Il volto naturalistico e sognante dell’India fa spazio a scenari industriali dove un bacino d’acqua coperto di vegetazione  si trasforma nel luogo che accoglie la spazzatura di Calcutta. Ma Saraogi fa scintillare tutti i volti dell’India e volge lo sguardo verso la montagna e i luoghi di fuga dell’uomo moderno. La fuga arriva fino al Nepal, fino alle strade di Kathmandu, al lago di Pokhara  e ai tramonti di Muganling. Il Nepal  rappresenta quell’esotismo e quella primordiale dimensione dove quell’uomo moderno sicuro di sé può perdere se stesso. In queste fughe nella natura si avverte la necessità di una ricerca. Il destino dell’uomo  sembra essere quello di “cercare di rimediare alla mancanza di qualcosa sostituendola con qualcos’altro. Ma non sempre funziona”.
Bangalore, Hyderabad, Chennai, Tirupur scintillano nel loro fulgente progresso. Anche l’ecologia diventa mercato e le multinazionali elaborano un modo per ottenere carbon credit da vendere all’Occidente riducendo le emissioni di monossido di carbonio. Idee scintillanti che guardano avanti. “L’India è una paese di un miliardo di persone che sogna all’unisono. Chi in piccolo e chi troppo in grande”. “L’elefante indiano si è rimesso in piedi da un bel po’”. “Sono lontani i giorni in cui, incatenato, lo si poteva tener buono con una banana ed altri espedienti del genere”.”Un giorno l’India sarà una gallina dalle uova d’oro”.
Come in molti romanzi di Saraogi la storia parte lentamente, i personaggi si delineano in fugaci pennellate e sembrano arrivare a compimento solo nelle ultime pagine. L’India scintillante è quella dei club, della crescita economica, delle multinazionali, ma è anche quella degli uomini, delle loro debolezze, del rispetto della tradizione e della religiosità.  Gli uomini della shining India cambiano lavoro, città  e certezze.  Il manager spregiudicato è al tempo stesso il brahmino tamil legato alle tradizioni. Il successo e la sicurezza si dissolvono davanti alla semplicità dei più elementari sentimenti umani,  quelle luci che non sono sul mercato e  che il denaro non può comprare.
La riflessione  sul senso dell’amore, che va oltre i canoni sociali imposti, si alterna all’aridità di una dinamica relazionale nella quale ogni rapporto è fugace, dove non ci si può fidare di nessuno perché colui che ti è accanto invidia il tuo successo e le tue capacità.  Il timore dell’attacco e del tradimento determina una chiusura alla libertà di amare e capire l’altro.
Dentro ogni uomo se ne cela una altro. L’eccesso di autocontrollo non fa che nascondere le fragilità; altri fuggono da loro stessi, dalle loro stesse capacità  o cercano conforto in punti di riferimenti esterni così che Guruchan diventa Guru, il maestro inconscio di una vita che si vuole vivere laicamente.
L’India scintilla nella sua nuova fiammante dimensione capitalistica. AL suo interno, tra quel bagliore, ogni anima cerca di trovare se stessa  e forse la troppa luce impedisce un percorso senza ostacoli.

Alka Saraogi, Shining India, Neri Pozza 2012
Traduzione dall’hindi di Marco Zolli

mercoledì 11 aprile 2012

Letteratura indiana: lo sfondo del Kerala





Segnalo un nuovo libro di ambientazione indiana recentemente tradotto in Italia


UNA CASA DI PETALI ROSSI, di Kamala Nair. Editrice Nord
Qui  i link di approfondimento sul romanzo e sull'autrice

martedì 18 ottobre 2011

Gosh di nuovo in Italia!

E così è ormai ufficiale: la Ibis di Un mare di papaveri tornerà sulle acque dell'Oceano Indiano per i lettori italiani. A Novembre uscirà per Neri Pozza l'attesissimo secondo romanzo di Amitav Ghosh.  Il titolo italiano è Il fiume dell'oppio ed è il secondo volume di una trilogia che  ha appassionato migliaia di lettori e cultori di letteratura anglo-indiana. Ringraziamo Anna Nadotti per la traduzione italiana.
La storia riprende dall'imminente naufragio con il quale si è concluso il primo romanzo. Qualcuno, tra il bizzarro e variegato equipaggio, manca all'appello. Più destini sembrano incrociarsi. All'orizzonte si scorge la guerra per l'oppio con le sue inutili stragi e pretese: una pagina di storia condita da un esotismo che non stanca mai perchè modulato dalla fluente scrittura di Ghosh.  . La storia partita da un fiume e sviluppatasi sul "nero Oceano" sembra tornare al suo punto di partenza, ma dal mare al fiume arriva in Cina e ci apre un nuovo scenario.
Aspettiamo, fiduciosi, di navigare ancora!

venerdì 21 maggio 2010

La letteratura indiana da Torino a Venezia


La letteratura indiana sbarca a Venezia dopo il nutrito interesse accordatogli a Torino. Ospiti di Incroci di civiltà, autori emergenti e accreditati dal pubblico italiano.
Alka Saraogi e Tishani Doshi hanno aperto il "mosaico" indiano presso l'Auditorium di Santa Margherita. Due autrici profondamente diverse, sotto vari punti di vista.
I romanzi di Saraogi sono tra i pochissimi in lingua madre tradotti in italia.
Tishani Doshi è una nuova scrittrice emergente che dopo il recente romanzo pubblicato da Feltrinelli, Il piacere non può aspettare, deve ancora maturare come intellettuale, se mai sarà questa la sua più adeguata attitudine nella vita.Vi consiglio di guardare il suo sito web perchè ne vale veramente la pena!!!!!!!!!!!!
Due scrittrici diverse dunque. Accomunate da un tema.Quello del viaggio. Il viaggio dei romanzi di Saraogi è quello di una nazione, del desiderio della classe media di emergere a guadagnare un'adeguata posizione all'interno di un'India che si sta formando. Ma il viaggio in Bypass al cuore di Calcutta è anche quello all'interno di una famiglia, all'interno della sua quotidianità e allo stravagante punto di vista di un personaggio che trova in una follia disincantata, la prospettiva adeguata per osservare la sua storia e quella del suo paese.
Le parole di Saraogi sono quelle di una scrittrice consapevole, che conosce il suo paese e sa identificarne i limiti.
Il viaggio di Doshi è quello tra India e Galles, tra Occidente e Oriente, tra il bisogno di ritrovare ciclicamente il legame con il proprio paese di origine e il desiderio di conoscere il diverso. Con un linguaggio delizioso e accattivante, Doshi ci fa entrare all'interno dei sentimenti più semplici ed essenziali, quelli familiari e amorosi. Il piacere a varie tonalità: è la ricerca di qualcosa che scalda, che consola, che appaga e rassicura.Il viaggio sembra non concludersi mai. Il ritorno è verso quel posto che chiamiamo "casa" perchè in esso ci troviamo a "casa".La fine sicura del viaggio è quella all'interno di un mondo interiore che ha in sè l'India e il Galles, luoghi vicini e lontani nello stesso istante.
Voci giovani e voci mature. Nuove esperienze e ricordi del passato: due autrici diverse alle quali si chiede, con voce unanime, di essere portatrici del loro paese!
La letteratura indiana è fiction ma può essere anche realtà! Le strade, i volti, le relazioni, gli intrecci, sono lo specchio di un popolo, lo specchio di civiltà che si incrociano (Incroci di civiltà!).E allora? Perchè no? Perchè meravigliarsi se un pubblico curioso vuole conoscere i legami tra scrittura e vita, tra pagine e strade, tra parole e società!

Di Vikram Seth, autore noto a tutti gli amanti della letteratura indiana, compagno di lunghe serate nel PurvaPradesh attraverso le 1600 pagine del suo Ragazzo giusto, non si può dire che una cosa: brillante!
Cosmopolita, poliglotta, artista eclettico e plurigenere, Seth ha conquistato il pubblico veneziano. Si, veneziano. Perchè Seth ama Venezia, la visita spesso e ne apprezza la decadenza, la confusione, gli odori, l'arte, i paesaggi, gli scorci.
In uno dei suoi romanzi più celebri, Una musica costante, si scorgono piazze a campielli della città lagunare. L'attenzione dell'autore arriva fino a Torcello, attraverso una squisita descrizione della Basilica di Santa Maria Assunta scritta tutta in monosillabi.
Seth sorprende il pubblico veneziano per la sua semplicità, per il rifiuto di quella dimensione intellettuale altisonante con la quale si vuole spesso vestire gli autori, per la sua ironia e la sua estrema intelligenza e sagacia. Seth sorprende i veneziani parlando in dialetto veneto, ripercorrendo gli itinerari della città che ama di più, gli stessi che amano i veneziani, quelli popolari, meno conosciuti, meno caotici e turistici.
L'indiano lontano dagli esotismi e dalle spezie sorprende anche gli italiani e la loro cultura letteraria: ama Leopardi e mostra di comprenderlo profondamente; ne apprezza la chiarezza poetica e il romanticismo melanconico, la forza e l'intensità ma, allo stesso tempo, mette in guardia dal facile binomio "melancomia=pessimismo".
Un artista non è solo un romanziere. Seth, romanziere e poeta, sorprende il pubblico sorseggiando vino e descrivendo il suo rapporto con l'arte, il suo amore per la poesia e e la scultura, il suo rapporto con la materia, con il fuoco, con la forma, con il movimento.
Ai veneziani piace anche il suo interesse verso il vetro soffiato e l'apparente "umiltà-umoristica-scanzonata".
Ma il Seth che più sorprende è il poeta, quello di poesie come Earth o Fire, lette in italiano e declamate in inglese con una passione e un trasporto che è rintracciabile solo nei grandi artisti.
Ci lascia con un sorriso ed una promessa: La ragazza giusta, in Italia tra qualche anno. Il libro arriverà a deliziarci, questo è sicuro. Quello che non ci promette è lì'esiguo numero di pagine. A quanto ricorda, per il Ragazzo giusto, voleva scrivere una storia lineare di non più di 300 pagine ma poi, tra un bicchiere di vino e un viaggio di approfondimento, le pagine sono diventate 1600 e gli anni per scriverlo 10! A lui la scelta! A noi l'attesa e la futura, godibile lettura!

lunedì 10 maggio 2010

L'india a Venezia: incroci di civilta'




Come ogni anno si avvicina l'appuntamento con il festival veneziano della letteratura. E' ormai risaputo e scontato il legame tra la citta' mercantile con il mondo orientale. Oggi sono scomparsi i mercanti mori e le spezie alla Dogana ma la citta' continua a manifestare interesse attraverso la presenza della Facolta' di lingue orientali e eventi come quello di queste settimane.
Il festival comincia la prossima settimana, potete leggere qui il programma

www.incrocidicivilta.org

Tra gi ospiti ci saranno:
Héctor Abad, André Aciman, Hoda Barakat, Tishani Doshi, Marcello Fois, Antonio Franchini, Jennifer Johnston, Randal Keynes, Alberto Manguel, Anthony Phelps, Yu Qun, Alka Saraogi, Tiziano Scarpa, Vikram Seth, Masahiko Shimada, Mikhail Shishkin, Ko Un, Fariba Vafi, Zhu Wen, Zoë Wicomb, Jeanette Winterson, Hong Ying

E' da segnalare

20 maggio ore 15:00
Auditorium Santa Margherita
Mosaico india
Tishani Doshi
Antonio Franchini
Alka Saraogi
conversano con
Anna Nadotti


20 maggio ore 18.00
Teatro Malibran
Il ragazzo giusto
Vikram Seth
conversa con
Gregory Dowling e Marino Sinibaldi

Per oggi invece segnalo l'evento preparatorio

L'India contemporanea nello specchio della narrativa contemporanea a cura di Marco Zolli presso la Biblioteca di servizio didattico Zattere, Dorsoduro 1392 ore 17.30, Ingresso Libero

Questi autori saranno presenti anche a Torino in occasione del della Fiera del Libro in programma per questa settimana........quest'anno l'India e' il paese ospite

www.salonelibro.it

giovedì 18 febbraio 2010

Corsi di letteratura indiana...e oltre


Serie di 5 incontri a cura di Monica Guidolin presso l’Università Popolare di Castelfranco Veneto, Associazione culturale fondata nel 1921. Un viaggio straordinario all’interno del mondo letterario indiano.
“Leggo vari giornali ogni giorno. Leggo anche libri ogni giorno. Li metto tutti nella mia testa e lascio che se la vedano da soli.” Mahatma Gandhi

Tagore e Gandhi
La storia letteraria indiana si compone di molteplici letterature e lingue. Si assiste sempre più ad un crescente interesse e attesa verso questo paese e la sua straordinaria vicenda culturale.
Nostra intenzione è quella di offrire una panoramica storica della ricca produzione scritta indiana a partire dalle opere più antiche, di carattere soprattutto religioso e filosofico, fino alla contemporaneità. Uno scenario in trasformazione che si riflette nella narrativa odierna, senza che manchi mai un nesso ai temi del pensiero tradizionale. Una storia letteraria che sia aggiornata nelle prospettive, nei metodi, nelle acquisizioni e sia l’espressione della volontà di trasmettere l’alto valore culturale dell’immensa produzione letteraria dell’India, dei tesori di conoscenza e di bellezza che la civiltà indiana racchiude in sé.

Mercoledì 24 marzo 2010: Letteratura religiosa e filosofica
La religione occupa nella vita indiana una posizione di assoluta preminenza. Ne deriva che essa condizioni e permei in larga misura anche le espressioni artistiche, tra le quali quella letteraria è, forse, la meno affrontata. La letteratura più antica è quella vedica, i cui testi sono frutto di una rivelazione divina.
Mercoledì 31 marzo 2010: Tradizione e letteratura scientifica: lo Yoga

Dell’intero patrimonio culturale millenario dell’India, lo Yoga costituisce l’aspetto di gran lunga più noto, anche in occidente. Una disciplina che, prima di ogni cosa, ha conosciuto un’evoluzione fondata su una serie di fonti e su un lessico che non appartengono all’epoca classica della cultura dell’India, bensì al periodo medievale nel quale la lingua, non diversamente dalla tradizione religiosa, fu soggetta ad un rinnovamento.

Mercoledì 7 aprile 2010: Lirica classica indiana
Nella produzione indiana non mancano immagini poetiche, talora affascinanti, talora enigmatiche. Raffinatissima nella forma e nel linguaggio, la lirica classica è soprattutto un canto d’amore dove le intenzioni degli autori, anonimi o mitici, è raccogliere e perpetuare nei testi le grandi tradizioni religiose che le hanno ispirate.

Mercoledì 14 aprile 2010: Poeti hindi del Novecento
Il desiderio di indipendenza politica si intesse con il desiderio di libertà individuale. L’espressione in campo letterario di istanze più vaste sono i fermenti che animano il poeta romantico hindi. Diversamente dai secoli passati, sia devozionali che manieristi, egli cerca come individuo l’intimità con qualcosa che non è Dio e marca della sua personalità l’espressione dei propri sentimenti.

Mercoledì 21 aprile 2010: Letteratura contemporanea
Negli ultimi tempi gli scrittori indiani sono diventati una passione a livello internazionale. Vikram Seth, Salman Rushdie, Shashi Tharoor, Amitav Gosh, sono solo alcuni nomi di una lista che continua ad ingrossarsi. Tutti autori che scrivono in lingua inglese. Nel 1912, uno scrittore di 51 anni relativamente sconosciuto decise di provare a tradurre alcune delle sue opere mentre era in viaggio a Londra. Nel 1913 allo scrittore fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura. Il suo nome era Rabindranath Tagore.

Info e dettagli:
Sede dei corsi: Sala in Via Verdi, 3 – Castelfranco Veneto
Le lezioni iniziano alle ore 20.30 (eccetto la prima lezione che inizia alle 20.15)
Informazioni e iscrizioni:
Libreria San Giacomo, via Matteotti, 14 E – Castelfranco Veneto (TV)– Tel. 0423 723430
Libreria Costeniero, via Giorgione, 55 – Castelfranco Veneto (TV)– Tel. 0423 720027
Libreria Massaro, Via S. Pio X, 2 – Castelfranco Veneto (TV) – Tel. 0423 497998

Informazione da

http://www.indika.it