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venerdì 11 settembre 2015

Le caste ieri e oggi

Quando si parla di caste anche i più ignoranti pensano all’ India. Il termine casta significa “puro”  e viene definito per nascita, per jati. Chi appartiene ad una famiglia hindu appartiene anche alla sua casta, al suo varna, il suo colore.
Secondo il Manu smirti, l’Esposizione dottrinale del dharma attribuita al progenitore della stirpe umana Manu, le caste si sarebbero determinate dallo smembramento di Parusa, l’uomo primordiale, l’uomo cosmico che, recitano i  i Veda, fu sacrificato per dare origine al mondo manifesto. Le caste principali sono essenzialmente quattro.
1- I Brahmani sono l’emanazione della bocca di Parusa. A loro è affidato il potere della parola. Equivalgono generalmente alla  casta sacerdotale  e/o che detiene il potere politico. Hanno diritto di dare, ricevere, sacrificare, studiare e trasmettere. Genericamente praticano il vegetarianesimo. Il loro varna, colore di riferimento, è il bianco.
2-Gli Ksatriya sono l’emanazione delle braccia di Parusa. Rappresentano la nobiltà guerriera e sono destinati alla protezione del popolo. Il loro varna di riferimento è il rosso.
3- I Vaisya sono l’emanazione delle cosce di Parusa e corrispondono alla casta dei contadini e degli artigiani. Il loro varna di riferimento è il giallo
4- I Sudra  sono l’emanazione dei piedi di Parusa. Sono addetti alle mansioni più umili e il loro compito è servire per sempre.
Al di fuori di questa quadripartizione troviamo i fuori casta, gli avarna, detti anche dalit (oppresso) intoccabili o paria. Essi rappresentano circa il 24% della popolazione e comprendono genericamente le comunità tribali originarie, gli  adivasi, gli omosessuali, gli eunuchi, gli zingari, gli handicappati o coloro che hanno alterazioni mentali insieme a coloro che hanno malattie infettive gravi. Vengono inoltre considerati paria anche tutti i an-arya, nati fuori dall’India. Gli intoccabili hanno una serie di divieti e preclusioni come quella di entrare nei templi, portare i sandali davanti a coloro cha appartengono ad una casta alta, bere nello stesso contenitore di un brahmano e così via.
Il sistema castale è noto come vanashrama dharma o sistema dei quattro colori. In india ci sono circa 4000 caste e sottocaste. Solitamente si identifica l’appartenenza dal cognome paterno, ma tale sistema non è sempre valido.
I tratti distintivi dell’appartenenza ad una casta sono: l’endogamia, l’ereditarietà della professionalità, la commensalità espressa in norme e tabù. Ogni hindu deve rispettare la propria casta tramite l’osservanza (achara)  e avere sempre il giusto discernimento nell’agire ( vichara). Nascere in una casta inferiore è cansiderata una punizione per le cattive azioni, e dunque il cattivo karma, accumulato nelle vite precedenti. Se i sudra si ribellano alla loro condizione rischiano di peggiorare il ciclo del loro samsara, delle loro reincarnazioni: la loro condizione di svantaggio sociale potrebbe peggiorare nelle vite successive.
Dal 1950 l’India ha introdotto una legge (l’Articolo 17) che vieta il concetto di intoccabilità e ciò che ne deriva.  Nel 2007 è stata fatta una proposta di legge per alzare al 27% la quota gli impieghi pubblici riservati agli appartenenti alle caste basse. Anche se la legge indiana proibisce la discriminazione di casta, il sistema castale è ancora molto forte. Secondo l’India human development survey, nel 2014 i matrimoni tra persone di caste diverse sono stati solo il 5% del totale. Oggi, in India, un dalit subisce un sopruso da una casta superiore ogni quindici minuti: stupri, assassini, sevizie o totale mancanza di rispetto e sicurezza. Ovviamente nelle comunità di villaggio questi episodi sono molto più comuni, ma le grandi città non sono esenti da tali fenomeni. I membri del panchyat, il consiglio di villaggio, infliggono spesso punizioni disumane verso i dalit che hanno trasgredito qualche norma di casta o hanno assunto atteggiamenti non adeguati. Spesso queste punizioni sono estreme e si concludono tragicamente. I fuori casta sono genericamente esclusi dalla vita sociale ma ciò non si verifica sempre, soprattutto negli ultimi anni. Basti ricordare che il dalit K.R.Narayan è stato presidente dell’India dal 1997 al 2002, così come sono dalit molti politici e uomi influenti indiani. Dagli anni 80’ il Bsp, il Partito della società maggioritaria si batte per il riconoscimento dei diritti delle sottocaste le quali, effettivamente, non sono una minoranza in India, tutt’altro!
Il quadro occupazionale legato alle caste oggi è un po’ cambiano. I brahmani non sono più solo sacersoti ed intellettuali. Spesso ricoprono ruoli politici importanti o sono inseriti preponderatamente nel sistema giudiziario e burocratico amministrativo. A detenere il potere economico sembrano invece essere i vaisya. Le norme a favore dei dalit funzionano solo marginalmente. Si tratta spesso di persone che non hanno terra in proprietà (70%) o che non hanno accesso all’istruzione superiore (solo il 30% può permettersi studi universitari). Va dunque da sé che l’accesso a incarichi lavorativi importanti risulta a prescindere difficoltoso, se non impossibile. Gandhi riteneva che il sistema delle caste indiano garantisse ordine e armonia; voleva un sistema castale senza gerarchie e aborriva l’intoccabilità. E’ davvero impossibile eliminare la gerarchia dal concetto di casta stesso?


martedì 9 ottobre 2012

Una cena nepalese

Le risaie vicino a  casa
Finalmente  nella mia casa nepalese. Ognuno di noi ha una casa, quella che portiamo dentro è quella che spesso è lontana da noi. La mia casa e la mia famiglia nepalese. C'è entusiasmo intorno a me. La luce del sole scopare rapida in Nepal, le montagne ne assorbono l'intensità e la coprono con la loro forte mole. Sul sentiero che porta alle risaie non c'è più nessuno. Sono rientrati tutti, anche Badur con il nuovo trattore.
In cucina ci  si siede sulle stuoiette  intrecciate da Laxmi. Stasera c'è un grande menù per il mio arrivo. Maya ha comprato la carne al bazar.
Mentre giro il dal sulla stufetta alimentata a torsoli di pannocchie, Deepak mi fa decine di domande in nepalese. E' lì di passaggio, ospite dalla famiglia degli zii: domani ha un esame al college e da Lamatar il bus locale parte ad un orario più accettabile. Il mio arrivo lo costringerà a dormire nel tea shop. Non importa; è troppo incuriosito da questa piccola donna dalla pelle olivastra che parla la sua lingua. Le domande si affastellano l'una all'altra. Non ho il tempo di rispondere. Maya sorride soddisfatta ma mi invita a non smettere di girare il dal che altrimenti si attacca alla pentola, l'unica pentola della famiglia che servirà per scaldare o cucinare il resto.

Lamatar, Agosto 2012
Ho portato i miei doni: la pasta Barilla,  le piadine romagnole, i taralli pugliesi, i funghi porcini secchi, i biscottini dolomitici ai frutti di bosco, l'olio extravergine d'oliva abruzzese, il panforte senese, un assaggio di pesto ligure e due vasi di conserva di pomodoro e di confettura di albicocche fatti con le mie mani. Meraviglia e tante risate davanti al mio imbarazzo nel tradurre in nepalese certi termini tipicamente italiani.

Si mangia insieme, tutti insieme. Ognuno con il suo stile. Laxmi composta e delicata. Surya un po' brutalmente. Maya un po' rumorosamente così come gli altri fratelli e il papà silenzioso con le parole.  Prima di cominciare Surya mi chiede quello che da nuovo  capofamiglia mi chiede sempre: laviamoci le mani insieme. Faccio parte della famiglia e userò la loro acqua. Lui sorride soddisfatto. Adesso sono pura.
Mi sento davvero a casa.

In alcune famiglie hindu del Nepal o dell'India una serata come questa non sarebbe tollerata dalla famiglia stessa e dalla comunità di villaggio limitrofa. Generalmente sarei una fuoricasta. Mangiare sotto lo stesso tetto è inconcepibile. Questa regola non vale solo per i brahmani; nelle comunità rurali il principio si estende a tutte le differenze castali. Quello che si rischia è la perdita dello status, il non riconoscimento sociale.
Tutte le regole della vita hindu traggono origine dalla legge sacra o Dharma Sastra contenuta negl iantichi testi come il Manhu Sambhita e il Parasara Sambita.
Il buon hindu, ancora oggi, rispetta l'achara, il buon comportamento e il vichara, il discernimento nell'agire.

Che gli hindu in passato non fossero prevalentemente vegetariani lo sappiamo di certo. Anche nel Mahabharata si fa spesso riferimento a banchetti  a base di carne. In una delle sue iscrizioni l'imperatore Asoka precisa che prima della sua conversione al buddhismo venivano macellati  migliaia di animali. In sanscrito il temine che designa il cuoco è supakara, colui che cucina il brodo. E il brodo, almeno nelle antiche scritture, non è quello vegetale, il brodo è di carne. La carne è anche il piatto migliore che si può offrire ad un rishi, un saggio. In molti racconti mitologici si racconta di queste visite e di come ci si dovesse prodigare per la preparazione di un banchetto adeguato.
Paradossalmente in passato la carne di pollo era un tabù. Oggi in India e in Nepal la carne di pollo, insieme a quella di bufalo, è invece una valida alternativa alla carne bovina.
Anche il pesce veniva disprezzato. Vishnu nella sua prima incarnazione era stato un pesce, e non si poeva certo mangiare il  Dio. Oggi invece il pesce è considerata prelibatezza in Nepal  e in  stati indiani come il Kerala, Goa o il Bengala. I nepalesi  sono ghiottissimi di pesce ma probabilmente molti di loro non ne hanno mai assaggiato di fresco oppure sono abituati a quello di fiume.
 In Nepal il vegetarianesimo puro si è poco sviluppato. I newari, convertiti al buddhismo, sono dei grandi mangiatori di carne. Le basse temperature e il lavoro duro nei campi richiedono  all'organismo un sostentamento adeguato. Ma la carne costa molto e si conserva male senza frigorifero così, come nella nostra Italia pre-boom economico, la si consuma raramente, per le occasioni speciali.

Il dharma sastra impone tante limitazioni. Davanti a membri di caste diverse non si potrebbe, in teoria, consumare cibo cotto o bere acqua o liquidi in genere. Solo il latte fa eccezione, purchè non sia bollito. Il cibo o l'acqua  si contaminano. Questa regola in Nepal, come già accennato, è valida in molte caste, anche in quelle medie. Molti brahmani, ancora oggi, preferiscono mangiare in stanze separate, anche nei ristoranti e negli alberghi. A volte vengono fatte delle purificazioni generiche prima del pasto spruzzando acqua intorno al  piatto o lanciando pezzetti di sacro tulsi, basilico.

Ma nella mia casa nepalese la mia purificazione è fatta insieme ai membri della mia famiglia, non per la mia famiglia. Mi purifico io come si purificano loro. Si mangia sotto lo stesso tetto, seduti sulla stessa terra battuta; si mangia con le mani e con lo stesso fumo negli occhi, il fumo provocato dall'assenza di quella canna  fumaria che non sono ancora riuscita a far fare nella mia casa nepalese.

martedì 6 dicembre 2011

Nepal: le risaie e il sogno dell'esercito in musica

Ormai possiamo dire che è sicuro. Gli ex guerriglieri maoisti sono stati assorbiti nell'esercito ufficiale.
Un processo lunghissimo quello per la pace. Un processo nel quale ha fallito l'ONU e che ha visto il successo  del neo-eletto  Baburam Bharattai. 
Ma cosa rappresenta l'esercito per un ragazzo nepalese? Me lo sono chiesta tante volte così come l'ho chiesto ai miei giovani amici nepalesi. In Nepal, in quel meraviglioso paese di terrazze verdi inondate di luce, la terra è la prima madre. Molti giovani possono avere come massima aspirazione quella di continuare il mestiere dei padri. L'agricoltura è la principale attività del paese. Tè, riso e canna da zucchero crescono tranquillamente sotto i 2000 mt. Ad altezze irrisorie per i canoni nepalesi. Non ci si può sorprendere nel vedere succose pesche a 3000  mt. In Nepal rientra negli standard di un sistema di culture che si sposta verso l'alto, verso le cime dove dormono  gli dei. A spostarsi con l'agricoltura c'è dunque anche il lavoro dei giovani. Ma la terra non basta a tutti.  Il lavoro nelle risaie è duro, scomodo e a volte poco redditizio.
Spesso le famiglie sono legate a sistemi fondiari dove il ricco padrone terriero vive da generazioni in città. 
Il contadino deve dunque sperare in un buon raccolto e in un prezzo di mercato generoso.
Negli ultimi anni però le importazioni dalla Cina e dall'India hanno reso sempre più difficile l'autosostentamento delle famiglie rurali. I prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità sono sempre più elevati. La mancanza di incentivi e sussidi da parte dello Stato rende i costi di produzione altissimi. Basta un monsone troppo violento o troppo mite, l'arrivo di un prodotto competitivo dai concorrenti e l'aumento dei carburanti per avere tutti gli ingredienti utili a realizzare la miseria.
Cosa può fare dunque il giovane nepalese? Rimanere nel villaggio o tentare la fortuna in città? E in città? Quale fortuna cercare? Ormai il settore del turismo è saturo. Kathmandu sembra esplodere.
L'esercito è il sogno dei giovani nepalesi: un lavoro sicuro, statale, ben retribuito, non troppo rischioso (in Nepal sono finiti i momenti di tensione estrema e, comunque, di solito l'esercito picchia duro, non viene picchiato) e che assicura una positiva immagine sociale. 


Gli Kshatriya nella religione hindu sono i guerrieri, coloro che assicurano il governo e la difesa. Nel sistema castale generico rappresentano la seconda posizione più importante  dopo i Brahamani. Oggi in Nepal il sistema delle caste non è rigido  come in alcune zone dell'India ma i requisiti per entrare nell'esercito sono duri e  selettivi. Forti, prestanti, in salute  e sicuri di sè. Quanti giovani nepalesi, confusi e speranzosi  in arrivo dai villaggi rurali hanno tutte queste caratteristiche? Pochi.


Vi posto il video di un gruppo musicale piuttosto noto in Nepal. Un gruppo giovane, gli AD 1974, attivo nella salvaguardia dei più deboli e impegnato in attività  di volontariato e sostegno. Gli U2 nepalesi secondo un mio giovane amico nepalese. Nel video è visibile il sogno dell'esercito. Triste ma vera realtà.

mercoledì 10 novembre 2010

FREEDOM RELIGION ACT in India: tra coscienza e proselitismo


In questi giorni sulla stampa indiana si fa un gran parlare del Freedom Religion Act.
Si tratta dell’estensione a tutto il paese di una legge che vieta le conversioni dall’induismo ad altre religioni. Questa legge è presente- e applicata in modo più o meno ferreo- già in 7 stati: Himachal Pradesh, Rajasthan, Madhya Pradesh, Orissa, Gujarat, Arunachal Pradesh e Chhattisgarh.

Il partito fondamentalista indù Bjp, supportato dal RSS, il suo braccio armato, fanno gran voci  tra le masse.
Alcuni elementi vanno sicuramente considerati con attenzione: tra gli stati che già contemplano il Freedom Religion Act c’è l’Orissa . Sono note a molte le vicende di violenza  legate alle conversioni di massa. Proselitismo e reazioni violente e ingiustificabili!

Posto un assunto fondamentale nella libertà di credo, di professione e di coscienza, bisogna entrare nell’ottica del radicalismo indù.
E’ sicuramente vero che ogni uomo è libero di scegliere il suo Dio, ma è altrettanto vero che in India, dall’ondata colonialista in poi, il proselitismo cristiano ha spopolato e non sempre si sono avute come sfondo delle profonde vocazioni all’amore cristiano.

Quella induista, ricordiamolo, è una società basata fortemente sul sistema delle caste. Parlare di caste con un indiano significa, a volte sentire  la terminologia “my religion”.  Appartenere ad una casta bassa o, ancora più incisivamente, essere un fuori casta, un dalit, significa venir esclusi da un sistema sociale che ha rigide regole e antiche tradizioni. Sicuramente questo sistema non è presente e radicato n tutto il paese ma, non possiamo escluderlo, è sicuramente evidente, a volte anche tra quei giovani che si definiscono moderni e vivono nelle grandi città del boom economico-tecnologico.

Il problema in realtà è un altro. Vada per la conversione. Vada anche per il sincero trasporto religioso, quello abbagliante e inspiegabile.  Due aspetti rimangono intollerabili: da una parte  la pressione proselitista che è sempre stata massiccia nel paese; dall’altra la tendenza alla conversione per raggiungere  quell’appartenenza e quel riconoscimento che manca al dalit.
L’operato della Chiesa nei paesi in via di sviluppo è lodevole. L’aspettarsi qualcosa in cambio, anche se non esplicitamente, anche se non con quell’intento, è deplorevole. Non sono certo nuove le notizie di nuovi convertiti che  ricevono denaro, istruzione per i loro figli, agevolazioni per il mondo del lavoro, sovvenzioni di vario genere. Spesso non si tratta semplicemente di carità e partecipazione. Come distinguere il vero dal falso?

In un paese dove il sincretismo religioso è fortissimo è inequivocabilmente possibile attirare acqua verso il proprio mulino.  E sì, perché il sincretismo non funziona sempre bene e a volte qualche meccanismo si inceppa. A fare proselitismo, lo ricordiamo, non è solo il cristianesimo! E gli indiani non sono cero “il popolo ingenuo” che crede a qualsiasi storia o abbandona facilmente le proprie radici!
Chiedere dei chiarimenti è dunque giusto, controllare la veridicità di una conversione altrettanto. Ma come si può entrare nel cuore di un uomo? Come si può discernere la purezza dell’animo verso il richiamo divino dall’esigenza nutritiva e di sostentamento di una famiglia, soprattutto in un paese dove la povertà è ancora così diffusa?
Con il Chhattisgarh Freedom of Religion Act  del 2006 sono previste multe fino a 20000 rupie  e carcere fino a 3 anni per coloro che risultano essere stati protagonisti di conversioni forzate. Tornare all’induismo non è invece un problema. Non si deve neanche richiedere l’autorizzazione alla magistratura locale un mese prima.  Quello che è sbagliato nell’ottica di queste leggi è l’esclusività, l’imposizione, il binario unico. Quello della fede è  un contesto personale. Nessuno può impormi di essere solo indù, così come nessuno può instradarmi verso una conversione cristiana. In questa ottica sono in pericolo anche le minoranze musulmane

Ricordiamo inoltre un altro elemento: la Costituzione indiana entra il vigore nel 1950  e, oltre ad essere fondata su ideali di giustizia, libertà, eguaglianza e fraternità, si basa sulla laicità dello stato, su un “socialismo reale” a carattere democratico.  L’idea di Democrazia ha in sé l’idea di libertà. La libertà è quella di chi sceglie un Dio. La libertà è quella di parlare di un Dio ad un popolo che non lo conosce. La libertà è quella di chi lo sente dentro o meno, di chi ne segue il richiamo o ne rimane indifferente. La libertà è quella di chi si oppone ad un cambiamento e vorrebbe controllare le coscienze.
Non possiamo però non ricordare che BJP e  RSS sono direttamente-o indirettamente- coinvolti in tante stragi a carattere religioso che hanno sconvolto l’India negli ultimi anni: i disordini del 1992-93 per esempio.
Nessuno può controllare una coscienza o presumere che non sia pura. Nessuno può pretendere di manipolare una coscienza comprandone il valore.
Il divino è espressione della necessità umana di sentire una forza trascendente. I Veda ribadiscono più volte questa presenza:

“Ogni pollice di vita sulla terra è associato a qualcosa di divino. Noi perveniamo alla piena conoscenza soltanto quando ci rendiamo consapevoli del divino e delle sue manifestazioni in ogni tratto di terreno sul quale camminiamo”