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mercoledì 9 marzo 2016

Se una donna riesce a nascere in India

Se una donna riesce a nascere in India il percorso che intraprende non è certo dei più facili. Selezione alla nascita, malnutrizione, maltrattamenti, poca istruzione e poche chances per vivere un’esistenza serena e con gli stessi diritti riservati agli uomini.
Il  percorso matrimoniale non è poi altrettanto facile: dote, ingerenze, strani incidenti domestici. Dentro e fuori dalla famiglia la condizione femminile rimane difficile nonostante la società progredisca civilmente, economicamente e giuridicamente.

Il rischio più grave e diffuso rimane quello della violenza, della molestia fisica e verbale. La donna indiana deve sopportare soprusi e angherie. Ma non sempre tutto è così negativo.
Se una donna nasce in India è perché ha superato la ben triste e nota pratica dell’aborto selettivo.  Il rapporto bambine e bambini oggi è di 92 a 100. Avviene un aborto selettivo ogni 25 nascite. Dal 1994 è vietato legalmente l’esame prenatale che incentiva questa pratica. Se nasce una donna dovrà poi superare un’altra pratica, quella dell’infanticidio femminile. Un detto iindiano dice: “Allevare una bambina equivale ad annaffiare il giardino del vicino”. Spesso le bambine vengono soppresse alla nascita, affogate ritualemnte nel latte o tramite i capezzoli avvelenati della madre. Se una donna cresce in India dovrà scontrarsi con la malnutrizione (50%), con l’anemia (48%), con l’analfabetismo (59%) e con meno diritti riconosciuti. Se una donna cresce in India il suo percorso matrimoniale non sarà semplice. Molte bambine vengono fatte sposare giovanissime per non gravare più sulla famiglia di origine. Tale pratica sfiora addirittura il 56% in Rajastan per le bimbe dagli 8 ai 15 anni. La vita matrimoniale non è mai facile. Spesso la donna deve scontrarsi con angherie e violenze, anche da parte della suocera. Si registrano numerosissimi casi di incidenti bomestici, bruciature con fornelli al kerosene o morti sospette. Ogni due ore una donna in India subisce questo tipo di maltrattamento. Nella progredita Bangalore si registrano circa 80 casi l’anno. Il motivo è sempre lo stesso: la dote. Un’usanza indiana vietata ufficialmente dal 1961 ma ancora fortemente diffusa. Quando la dote non è ritenuta sufficiente, la soluzione migliore è quella di “cambiare moglie”. Se una donna in India si sposa e diventa vedova, la sua condizione può non essere tra le migliori. Molte donne vengono allontanate dalla famiglia del marito e destinate a vivere in preghiera ed isolamento in un ashram: vestono di bianco, non portano gioielli, vivono di elemosine e non possono mangiare cibi saporiti. Le vedove meno fortunate sono soggette alla Sati, la morte rituale sulla pira funeraria del marito. Tale pratica è vietata in India dal 1829. E’ un reato anche partecipare ad un culto legato alla sati dal 1987. Nonostante questo, dal 1947 ad oggi, ci sono stati almeno 53 casi di Sati accertati. Per l’Atharveda la sati è un dovere della donna. Le principesse Rajput si suicidavano collettivamente quando venivano a sapere che i loro sposi erano morti in guerra. Oggi capita spesso che le donne condotte verso una sati siano drogate o costrette con la forza. Se una donna sopravvive in India va in contro a molestie sessuali. Ogni 20 minuti avviene uno stupro e un indiano su quattro ha dichiarato di aver compiuto almeno una volta una violenza su una donna. Il 50 % di loro lo ha fatto per divertimento, il 40% per punizione. Il gesto si è ripetuto almeno nel 45% dei casi. Negli ultimi 40 anni i casi di violenza sono aumentati del 900%. Un’associazione di ingegneri  indiani composta prevalentemente da donne, la SHE, ha recentemente messo a punto congegni elettronici in grado di prevenire gli stupri: un reggiseno che se sganciato scorrettamente rilascia una scarica di 3800 kilovolt oppure un GPS sotto le scarpe che allerta numeri amici e forze dell’ordine, oltre che localizzare la vittima di aggressione.
Ma le donne che nascono e crescono in India sono anche donne felici, donne che lottano per i loro diritti e raggiungono risultati. La donna cerca di emanciparsi sempre più. Veste come un’occidentale, frequenta l’università e conduce una vita sociale come qualsiasi altra donna ha il diritto di fare. Le donne indiane ricoprono ruoli importanti nella politica (anche se hanno solo l’11% di quote rappresentate in Parlamento), basti ricordare donne come Indira Gandhi, Primo ministro dal 1966 al 1984; Sonia Gandhi, presidente del Congress Party fino al 2004 (ricordiamo inoltre che Saronjini Naidu ha ricoperto per prima, come donna,  questo incarico nel 1929) o  Pratibha Patil, Presidente della Repubblica dal 2007 al 2012. Anche nelle società e nelle aziende e multinazionali le donne primeggiano; ricordiamo donne come Indra Noyi (Amministratore delegato della Pepsi), Arundhati Bhattacharya (Presidente della State bank of India), Chanda Kochhar (Amministratore delegato della ICICI bank) o Shobhana Bhartia (Presidente dell’Hindustan time). Sempre più donne decidono di non diventare madri e dedicarsi agli studi e alla carriera. Gli stati economicamente più progrediti in India sono quelli dove l’alfabetizzazione e l’istruzione media delle donne risultano essere più elevate. Una donna che nasce e scresce in India: una risorsa da non sottovalutare. 

domenica 21 febbraio 2016

Parliamo di donne in Asia a Venezia

LA CANZONE DELL’ALTRA/O
STORIE E R-ESISTENZE DELLE DIFFERENZE INVISIBILI

Serata a sostegno di Emily
Sabato 27 Febbraio 
Circolo ARCI Franca Trentin Baratto
Santa Sofia, Cannaregio 4008, Venezia
Dalle 17:30
Storie di r-esistenze differenti e invisibili: la luce di chi vive la malattia rara,
il carcere e l’essere donna in Asia.
Ne parliamo insieme a:
Luigi Vero Tarca – Filosofo e docente presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia
Elisabetta Favaretto – Presidentessa dell’associazione filosofica LAI e insegnante nei Licei
Sonia Orazi – Insegnante e blogger esperta di cultura asiatica
Grace Spinazzi – Mamma e insegnante
Buffet vegetariano e vegano preparato dai volontari della LAI
Musica dal vivo di Paola Tamburin, Paolo Sottana e Frankie & Master Mauri
Tutto il ricavato sarà devoluto per aiutare Emily Rose Marie, una bambina di tre anni affetta dalla sindrome di Sanfilippo, una grave malattia degenerativa. La mancanza di un enzima causa l’accumulo di tossine nel cervello e porta gradualmente ad un grave ritardo mentale ed alla perdita delle funzioni vitali principali. L’aspettativa di vita è molto bassa. Non vi sono né cure né terapie accertate: la prima sperimentazione è iniziata l’anno scorso.
I fondi raccolti durante la serata aiuteranno Emily in questo percorso “speciale” faticoso ma anche pieno di speranza.
Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1685182305080324/
Pagine Facebook: A smile from a Rose + Libera Associazione di Idee
Sito LAI: https://associazionelai.wordpress.com

giovedì 23 gennaio 2014

Le donne che sopravvivono in India


Negare la nascita di una donna equivale a negare la vita stessa!
Le donne che oggi sopravvivono in Asia   hanno davanti un futuro sempre meno  roseo.
Qual è il futuro delle donne oggi? Arriva dall'India l'ennesima storia di violenza. Una giovane ragazza e l'amore proibito per un giovane di una religione differente. Gli anziani del villaggio decidono di punirli. Ma lei non ha 25000 rupie per pagare la sua colpa. Così la sua punizione viene convertita con lo stupro di gruppo da parte dei mebri della commissione accusatrice. Ogni commeto  a tutto ciò oggi appare inutile.

lunedì 20 gennaio 2014

Stupri, stupri, stupri! Ancora stupri!

Donne indiane, Delhi metro, Luglio 2013
Cosa succede in India?
Il caso di stupro di gruppo dello scorso anno sembrava aver mosso le coscienze dell'India. Sembrava quasi che il paese avesse preso consapevolezza del suo male. La commissione Verma, appositamente istituita per l'efferato evento, ha lavorato per mesi al fine di modificare la legge che punisce gli stupri. La pena di morte prevista per uno supro caratterizzato da un'accentuata brutalità è stata rigettata con la seguente giustificazione: una legge che punisce con la morte rischia di cadere lei stessa nella brutalità.
Siamo forse ai tempi di Cesare Beccaria? Stiamo ancora discutendo se sia lecito o illecito applicare la pena di morte, i miseri 7 anni di carcere  o l'ergastolo. E mentre perdiamo tempo  in queste discussioni i casi di stupro in India aumentano selvaggiamente.
Il più recente è quello di un'impiegata stuprata da un "branco" all'uscita dal lavoro presso un centro commerciale a Calcutta. Le 19.30 di sera, un taxi collettivo, una zona commerciale e affollata. In quale rischiosa situazione si è messa questa giovane donna di Calcutta?
E quale errore avrà mai commesso la donna danese di 51 anni che all'inizio di Gennaio è stata stuprata da 8 uomini perchè aveva chiesto informazioni per raggiungere il suo albergo nella zona di Paharganj? O la diciottenne tedesca che viaggiava in treno per raggiungere la onlus per la quale lavorava? O, ancora, quella polacca, anestetizzata e  violentata da un taxista davanti alla sua bambina di due anni?
Quale errore compie mai una donna che va a lavorare, che prende un taxi o che chiede un'informazione per strada? Dove stiamo arrivando?
Cosa c'è di così represso oggi nella società indiana? Da dove nasce tutta questa violenza?
Molti dicono che la responsabilità è attribuibile a quelle convenzioni sociali  e religiose che reprimono la spontaneità sessuale. Quale repressione sociale può giustificare una violenza? Come si può, in questi temini, giustificare violenze perpetrate ai danni di bambine di 12 anni? Non si può essere così repressi sessualmente da dover ad ogni costo violentare una ragazzina!
Quali sono i bisogni degli uomini indiani? Chi può credere che una delle più interessanti e profonde civiltà orientali sia finita in un vortice di volgarità e violenza così efferata?
Non possiamo credere neanche alla giustificazione portata dal fatto che gli aborti selettivi  e i femminicidi hanno fatto diminuire  così drasticamente il numero delle donne da rendere necessario il ricorso alla violenza per soddisfare i propri animaleschi bisogni.
Non possiamo credere di essere giunti in un'era nella quale lo scenario è quello di Matrubhoomi, il film di Manish Jha che sconvolse il paese nel  2003 perchè posto davanti alla sua mostruosità.
E non crediamo neanche a quelli che sostengono il non allarmismo; coloro per i quali in realtà non c'è nessuna emergenza perchè di stupri in India ce ne sono sempre stati, e numerosi. In questa ottica l'aumento di questi ultimi tempi sarebbe solo dato dall'attenzione data dai mezzi di comunicazione.
Non crediamo a questa posizione perchè significherebbe accettare come naturale una situazione inaccettabile. Non ci crediamo perchè i mezzi di comunicazione stanno solo facendo il loro lavoro, diventando l'unico strumento inalterato e incorrompibile di protesta.
In cosa crediamo? Crediamo che la società indiana abbia un problema e che il governo debba prendere provvedimenti. Seri provedimenti.
I blandi indurimenti delle pene hanno determinato un'inversione. I branchi si dirigono ancor più verso gruppi  socialmente inferiori, verso quelle donne che mai e poi mai denuncerebbero uno stupro. Quante volte abbiamo letto di donne di casta bassa violentate  ripetutamente dai palizziotti presso i quali avevano tentato di sporge la loro denuncia di stupro. Quegli stessi polizziotti si fanno corrompere e lavorano loscamente per far trovare tra le parti un accordo, una pacificazione. Come può una donna accettare una pacificazione con chi ha abusato di lei? Della sua dignità? della sua persona?
Accetterebbe mai un uomo, violentato con uno strumento doloroso, di perdonare il suo assalitore? Verrebbe messa a tacere la cosa?
Lo stupro è diventato tristemente arma di guerra e  ferita nel cuore della società odierna.
Una società dove succede tutto questo è la stessa dove la "mano morta" su un autobus, davanti a tutti, viene tollerta. Chi vede, spesso le stesse donne, si  girano dalla parte opposta e fanno finta di non vedere.Chi subisce rimane spesso in silenzio. Chi agisce rimane impunito. Rimane una ferita nell'anima nella prima e la sicurezza di poter agire come si vuole nel secondo. Con questi presupposti la società indiana rifiuta e sbeffeggia la maternità, la femminilità delle sue origini; la profonda essenza della madre terra India, che è femminile, fertile  e generosa. L'affronto alle donne indiane è l'affronto al cuore della terra madre che accoglie un popolo ora offuscato dal progresso economico  e dall'onnipotenza.

lunedì 25 novembre 2013

Quali violenze?

Le violenze sono tante. Non solo quelle sessuali e fisiche. Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne ricordiamo differenti forme di persecuzione.
Le donne, da sempre, sono vittime di soprusi e vessazioni.
Quelle della quotidianità, dei colleghi di lavoro che ci ritengono inferiori perchè donne, che non riescono a  riconoscere il nostro ruolo e le nostre responsabilità.
Madri, figlie e mogli, le donne hanno il compito di assistere e fino a quando sono dedite totalmente a questo scopo può andare sommariamente bene. Avere un proprio spazio invece non è concesso. In ambito accademeico, scientifico, intellettuale, culturale, ho visto uomini ridere del ruolo delle donne, del loro impegno, delle loro ricerche. "E' una donna, e qundi è meno brava. Cosa puoi aspettarti da una donna".
Una lenta, costante, inesorabile accusa, un ghigno perpetuo. Non sono che forme di violenza.
E poi c'è la violenza quotidina in casa, quella di mariti e compagni che ci riconoscono solo quando siamo utili al managment familiare. Ma all'occorrenza siamo anche stupide, inutili, non adeguate, imbranate. E allora ci viene chiesto di tacere, di non intervenire, di non fare.
Una lenta, costante parola di questo tipo, ogni giorno, per una vita. Cos'è se non violenza?
A questo si aggiungano le percosse fisiche  e mentali. Anime schiacciate e violentate quotidianamente.
La vilenza ha tanti volti.
Quella che racconto oggi è la storia di Sunita, scappata dal suo carnefice. Scappata da un uomo che non vedeva di lei nulla se non uno spazio da riempire con astio. Una violenza camuffata da amore che giocava su parole vuote e assenti. Quando Sunita ha aperto gli occhi era troppo tardi. Aveva perso tutto intorno a sè.
La violanza ha tanti volti e spesso, troppo spesso, si nasconde dietro la parola amore.

lunedì 4 novembre 2013

Apri! L'amore non esiste: una testimonianza

Nepal, 2008
Porto il nome di un fiore. Mio padre volle questo nome perchè mi amava infinitamente e voleva il meglio per me. A nove anni mi incantavo davanti alle spose del mio villaggio. L'hennè sulle loro mani mi affascinava. Spesso aspettavo che il pandit lasciasse il tempio o che la custode si allontanasse. Passavamo davanti al tempietto di Vishnu e con le corte dita ci mettavamo reciprocamente il sindur lì dove i capelli cominciano la loro cascata corvina. Sciocche ragazzine! Cosa aspettavamo?

Mio padre mi parlò del mio futuro marito  all'età di 12 anni.  Il suo fiore doveva avere il meglio. Il suo meglio diventò il mio incubo. Yadav era ricco, ricco rispetto ai giovani del mio villaggio. Suo fratello era all'estero a fare il manovale,  un altro fratello aveva un chioschetto, un piccolo chai shop  in una buona posizione perchè davanti al tempio di Shiva. Ma lui, Yadav, apparentemente non aveva prospettive.

Quando mi vide non nascose il suo disprezzo. Ero burrosa allora. Adoravo i dolci di Amma. Non ne potevo fare a meno e nessuno in casa me li vietava. Yadav non mi disse una parola. Forse mi trovava piccola e stupida. Non mi rivolse la parola. Vedevo i sogni di hennè e sindur sfumare in indefinite lingue rosse.

Venni a sapere che preferiva vivere in città in una piccola stanza. Sapevo che non aveva abbastanza denaro per rimanervi ma l'idea di fare il contadino lo atterriva. Disprezzava tutti noi ma al tempo stesso disprezzava anche le persone di casta che gli permettevano di sopravvivere. Molte persone mi parlavano di lui. Sapevo che un giorno sarebbe stata lui la mia rossa vita futura.

Il giorno del matrimonio lo passai a piangere. Non volevo lasciare la mia casa per andare con quell'uomo dal volto teso e imbronciato. Il tempo non mi consolava. Yadav non mi disse una parola se non "Apri!". Quella parola, l'unica pronunciata da mio marito, significava una sola cosa, che dovevo aprire i miei vestiti, e rapidamente. Non una carezza o una parola se non quell'"Apri!". E poi, in pochi istanti violenti e soffocati, tutto finiva, in silenzio. Si alzava e andava via. Non amava dormire con me. Rimanevo al villaggio, da sola con sua madre e la litania della sua asma o con il silenzio accigliato di suo padre. Sapevo che quello era il mio compito: assistere i suoi genitori. Yadav non aveva sorelle  o  parenti vicini. Non veniva mai a casa. Il suo ritorno era un semplice e secco "Apri!". Aspettavo con terrore quel momento.
Prima del matrimonio ero stata al cinema con una mia cugina sposata. I volti dei divi sul grande schermo descrivevano dei sentimenti così forti. Chiesi a mia cugina se fosse quello l'amore. "L'amore non esiste. Almento non per noi"  La sua risposta mi atterrì. Era sposata da appena un anno e il suo era stato un matrimonio d'amore!

Visitai Yadav in città. Non sapevo cosa fare in casa. Non potevo muovermi da sola in quel luogo così grande e misterioso. Non conoscevo nessuno. Yadav non tornava a pranzo. Non amava la mia cucina.  La sera spesso i suoi amici venivano a bere nella nostra stanza. Mi coprivo il volto con la dupatta e passavo ore vicino al rubinetto esterno. Fino a che erano presenti i suoi amici con schiamazzi e volgarità, sapevo che il momento dell"Apri" si sarebbe allontanato.

In uno di quei giorni grigi trovai quelle lettere e le fotografie. Sotto il letto, non troppo nascoste, in una scatola. Parlavano di sentimenti, di litigi, di passione e vicinanza reciproca. Il volto che sorrideva nella foto era diverso dal mio. La carnagione era chiara. Forse una ragazza di casta alta.
Ma quelle lettere parlavano anche di tormento e delusione. Quella donna doveva aver provato qualcosa di molto forte. Non riuscivo a capire il suo stato. Sapevo solo che l'oggetto di tanta emozione era colui che adesso era mio marito.

Mi trovò così, sbigottita, a terra, con le lettere sul sari sgualcito. Si arrabbiò molto ma non sembrò giustificarsi. Per la prima volta mi parlò direttamente. Mi parlò delle difficoltà  della vita in città, dei sogni che non era riuscito a realizzare. Nelle sue parole c'era astio e risentimento. Verso chi? Cosa avevo fatto di male? Mi spiegò che c'era sempre bisogno di denaro e che procuraselo non era facile. E così aveva trovato quella donna di casta alta. Una donna sola che si era innamorata di lui e lo manteneva. "E' stato facile. E' bastato essere gentile. Sapevo che la sua famiglia era ricca. Che poteva spillare denaro ai suoi. Mi dava denaro, viveri e tutto quello di cui avevo bisogno. Ma poi mi sono stufato perchè mi richiedeva attenzione e tempo. Ottenere quello che volevo non era più così facile. Mi sono stancato. Adesso racimolare i soldi non è facile".
Ero attonita. Non sapevo cosa dire. Non so dove trovai il coraggio per dirgli quello che gli dissi.
"Ma lei parla di amore. Di sentimenti? Noi eravamo già sposati quando..."
"Povera sciocca. L'amore non esiste! Per nessuno!"
Ancora una volta quella sentenza. I miei sogni di sindur ed hennè erano infranti da tempo.

Sono passati tanti anni. Yadav è partito. Ha raggiunto suo fratello. L'ultima volta che l'ho visto il  mio piccolo Sunil aveva 2 anni e mezzo. Il frutto dorato di uno di quei momenti in cui ho dovuto "aprire" . Ancora oggi mi sorprendo davanti agli occhi grandi e buoni di mio figlio. Come può, da tanta indifferenza e sofferenza nascere uno splendore simile?
Io e Sunil passiamo ore seduti davanti al cortile della casa dei genitori di Yadav. Le sue manine si estendono verso di me. Mi sorride quando nascondo il viso con la dupatta chiudendone le estremità laterali
. "Apri!" mi chiede spostando il velo con la manina paffuta "Mamma, dammi un bacio!".
L'amore esiste. Anche per noi!

In India oggi 24 milioni di bambine sono costrette al matrimonio precoce. A metà Ottobre l'India si è rifiutata di firmare la risoluzione Onu che vieta tali pratiche. Hanno firmato, tra i 107 paesi, anche Nepal, Ciad, Niger e Mali. luoghi dove le spose bambine sono milioni ogni anno. Per molti gram pamchayat indiani, i consigli di villaggio, far sposare in tenerà età una giovane garantisce l'allontanamento dalle possibilità di stupro. I problemi sociali e di salute che emergono da tali  usanze sono incalcolabili!


mercoledì 29 maggio 2013

Una storia triste dal Nepal

Una bambina. cosa si è a 11 anni se non bambine? Innocenti e fragili creature in un paese a volte troppo duro. Una povera bimba violentata da un parente acquisito tra le mura domestiche.  La violenza e il frutto di una violenza. Si può diventare mamme a 11 anni? Anche in Nepal succede.
Chi sono le vittime di questi abusi? Ragazzine povere, appartenenti a strati bassi della società. I distretti sono quelli più remoti , marginali o problematici come Jhapa o Dhankuta.
Negli ultimi mesi è aumentato esponenzialmente in Nepal il numero di ragazzine violentate tra i 6 e i 12 anni. Come si può mai giustificare o comprendere un atto simile?
E la polizia locale cosa fa? Finge di investigare e di fare giustizia. Non dimentichiamo che all'inizio dell'anno una giovane nepalese emigrante era stata violentata proprio da un poliziotto doganale.
Dopo il triste evento accaduto alla piccola undicenne  la ABC Nepal si è presa cura di lei; ieri notte ha dato alla luce il suo piccolo di 7 mesi. Piccolo e fragile anche lui, ma è nato maschio. Un chance in più in un luogo dove si gioca una partita impari, quella per la sopravvivenza.

giovedì 16 maggio 2013

La storia di Laxmi: non era Amore

Foto da qui

Mi  chiamo Laxmi e nel mio paese il mio nome è quello della dea della ricchezza e dell’abbondanza, della dea della fortuna. Sembra uno scherzo vero? Qual è poi la mia fortuna?  Là da dove vengo io le ragazze non scelgono il loro destino e sicuramente  non sono fortunate. Forse la mia famiglia ha voluto darmi la fortuna, almeno nel nome.

Il mio è stato un matrimonio combinato. Non ho scelto. Non ho mai scelto. Quando ero bambina vedevo le altre donne, le ragazze o le innocenti bambine sposare uomini che non conoscevano. Ho sempre pensato che fosse normale. Oggi per me è normale. E’ normale vivere con chi non ho scelto. Mi sono abituata. Ma non sto parlando di amore.

Una volta si, quella volta l’amore l’ho trovato. Ero così felice. Ero così stupida. Pensavo che qualcuno potesse amarmi al di fuori di una scelta impostami. Lui sapeva che soffrivo, lui sapeva che ero disperata e mi ha usata. Anche lui. Quell’amore cieco e folle l’ho pagato. L’ho pagato  quasi con la morte. E alla fine in mano non mi è rimasto nulla perché mentre la mia vita scivolava nelle tenebre e nella vergogna, mentre la consapevolezza della sua indifferenza e del suo usarmi diventavano sempre più coscienti, lui si mostrava per quello che era. La sua vera immagine si  faceva nitida dentro di me e io provavo vergogna. Perché? Perché una donna deve vergognarsi? Perché ha amato una sola volta nella vita? Perché vergognarsi? Perché ci si accorge che non era Amore quello che muoveva le mani e si rifiutava di baciarmi. Non era Amore quello che  fingeva di amare misurando la sua prestazione, guardando l’orologio appeso sopra la porta,  mentre da fuori  giungevano fino a noi  i clackson della città folle. Non era Amore quello che non voleva neanche che mi spogliassi completamente, perché c’era poco tempo e l’essenziale era un punto. Non era Amore quello che sputava a terra dopo avermi usata per eliminare da sè il mio sapore. 
E allora si prova vergogna perché si  comprende che se quello non era Amore allora il mio cos’era? E perché non posso oggi chiamarlo Amore? Cos'è allora l'amore?Perché prevale la vergogna? Perché è questa la mia condizione.

Ho visto il sole per un breve attimo e adesso sono tornata alla mia vita. Condivido una stanza silenziosa con chi non ho scelto di avere accanto. Non parla molto, non parla mai. Nella nostra cultura è normale. Io, da quando sono qui, avrei tante cose da dire, ma non parlo. So che lui non  mi risponderebbe.
Lui è quello che lavora, che finge di farlo, che esce e sta fuori tutto il giorno a far finta di essere un uomo. Decide ogni cosa ma non ne parliamo mai. Io condivido silenziosamente. Nel suo lavoro è melenso e falso. Finge un entusiasmo non suo. Quell’entusiasmo che piace ai clienti. Il cliente ha sempre ragione. Solo io so quanto è falso. Solo io so che è il denaro che vuole.
Avrei potuto studiare. Avrei potuto finire di crescere. Avrei potuto vedere meglio la città. Perché no? Adesso sono qui, in un posto che non mi appartiene. La mia famiglia è lontana. Ora la mia famiglia è lui. Quell’uomo che, ho saputo, neanche mi voleva, perché voleva continuare a divertirsi pubblicamente. So che lo fa ancora. So che frequenta altre donne e a tutte dirà che è la sola. A me non ha bisogno di dirlo. Io gli appartengo. Sono una sua proprietà. Sono l’oggetto che mio padre ha ceduto al suo. E  lui neanche voleva. Lui voleva continuare a vivere da solo. Almeno adesso ha chi cucina per lui, chi fa la spesa e chi, se rimane senza soldi, può vendere l’unico gioiello che ha.

Avrei potuto studiare. Avrei potuto finire di crescere. Avrei potuto incontrare realemente Amore. Ma sono in una stanza, un’unica stanza a guardare le lancette dell’orologio appeso sopra la porta, mentre da fuori arriva il rumore impazzito dei clackson di una città non mia.”

(Laxmi è un nome di fantasia. La sua storia è vera. Ascoltata con la pelle e con il cuore.

martedì 7 maggio 2013

La forza dell'unità e le donne indiane

Canto di guerra
"Il mondo intero sta cambiando, sorella mia, ma se tu non cambi, cosa accadrà?
Ora il governo ti aiuta a mandare i tuoi figli alla scuola, ma se non sali anche tu, sul treno dell'educazione, chi ti rispetterà?
Io ti ho mostrato molte strade, sorella mia, ma se non ne imbocchi alcuna cosa accadrà?
Oggi ci sono leggi che ti proteggono, non ci sono più caste, nè alte nè basse, le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, ma se ti insultano, ti molestano o ti picchiano e non dici nulla, chi protesterà per te?
Il mondo intero sta cambiando, sorella mia, ma se tu non cambi, cosa accadrà?
Io ti ho spiegato le nuove regole, ma se non le diffondi anche tu, chi le spiegherà alle tue figlie?
Io son qui per voi, sorelle mie, per darvi coraggio, ma se non fate di tutto per restare motivate, che posso fare , io sola, di più?"
                                                                                           Sampat Pal, Con il sari rosa, pag.120

L'India. l'Italia, gli Stati Uniti. che differenza c'è oggi tra questi paesi? Il femminicidio e la violenza sulle donne non hanno latitudine o longitudine. Ci nascondiamo dietro un falso progresso, una falsa istruzione, un intellettualismo esasperato che nasconde solo un'unica verità. La violenza. E non fa differenza se si tratta di uno schiaffo, uno stupro, un omicidio o un lento e perpetuo schiacciamento della dignità e integrità individuali. Il risultato è lo stesso. Ferite non rimarginabili. Madri, mogli, figlie, sorelle. Quanti compiti difficili.
Un passo indietro nella storia e compare una donna: Pandora, Eva, Elena di Troia, Draupadi, Sita. Di chi è la colpa? Chi vuole cercare una colpa? Perchè? Cosa si finge di proteggere? Quello che poi si vuole distruggere?


Gulabi in hindi significa rosa. Un colore prettamente femminile. Chissa poi perchè. Quello della Gulabi Gang in Uttar Pradesh non è il rosa sbiadito delle bambole o degli oggetti frivoli ma quello potente e vivo di un gruppo che ormai ha al suo seguito decine di migliaia di donne dal 2006 ad oggi. Un gruppo che crede nell'unità e nella forza, nei diritti e nell'autonomia femminile. Un gruppo che si batte contro i matrimoni delle bambine, gli abusi e  il dilagare della corruzione in India, quella spina che sembra entrare più vigorosamente nel fianco femminile. Un gruppo. Semplici donne che dicono basta. Che non chiacchierano ma agiscono. A capo di questo esercito rosa c'è una piccola donna con una forza inarrestabile.

venerdì 3 maggio 2013

Le donne in India. Matrubhoomi. A nation without woman


Matrubhoomi. a nation without woman (2003)
Negli ultimi 100 anni in India sono scomparse 35 milioni di donne, vittime di un'illogica violenza  decisa alla nascita.
Questo film, difficile da vedere in India, é il limite di una pratica ormai perpetrata da secoli
Il regista Manish Jha ha  ha avuto coraggio
L'estrema durezza della prima scena è l'overture di una tragica storia impietosamente vera  per milioni di donne in India..e non solo
Dedico  questo film a tutte le donne che hanno subito violenza, soprusi e oppressione, di qualsiasi genere