sabato 29 giugno 2013

No al nudo jaina su Facebook

Muni Shri Punyanandi
In India ha sollevato un polverone la vicenda di una pagina Fb censurata perchè contenente le immagini dell'asceta jaina Muni Shri Punyanandi. Il giovane indiano censurato ha polemizzato con il social network in quanto la decisione di oscuramento urterebbe i suoi sentimenti religiosi.

Facebook ha delle regole rigide per alcuni contenuti ritenuti non adeguati. La nudità è una di queste. Se l'asceta jaina è innocuo bisognerebbe provvedere a controllare meglio le pagine di coloro che diffondono i numeri di telefono privati  soltanto per fare un dispetto. Facebook è un social network su scala mondiale. Cosa può significare essere diffamati a livello globale o ricevere un disturbo senza ragione? A volte la cattiveria  umana non ha limiti.

sabato 22 giugno 2013

Pani! E' arrivato il monsone.

Patan 2008
Pokhara 2009
Eccolo il monsone. Quell'acqua che tutti aspettano. L'acqua che nutre la terra e
fa crescere il raccolto, l'acqua che dona ristoro dopo i caldi mesi estivi, l'acqua che segna la stagione del riposo e della contemplazione. I bambini sorridono e corrono sotto la pioggia in Nepal e India.

Quest'anno però il monsone è arrivato con una potenza pari a 4 volte quella abituale. Nel Nepal occidentale e nell'India settentrionale, in particolare negli stati a nord est del Punjab si parla di distruzione e migliaia di vittime. Qui una sconvolgente galleria di immagini.Nelle ultime ore sta intervenendo l'esercito dei due paesi. Speriamo in un'iiminente moderazione

giovedì 20 giugno 2013

Grimus: il primo, alterato, Rushdie

Grimus:Simurg
Qual è il nesso tra l’insuccesso del primo e introvabile romanzo di S. Rushdie e il suo successo seguente? Leggendo Grimus, l’esordio degli anni ’70 del romanziere indiano, ci si pone tante domande, e non sempre è facile darsi una risposta. Alcuni lo hanno definito romanzo di fantascienza, altri romanzo visionario. Nulla di  tutto questo, perché Grimus è questo e molto altro altro ancora, ma anche niente di tutto questo.
Ok, calma, calma e sangue freddo. Quella che ci vuole  molte volte quando si leggono le prime 30 pagine di un romanzo di S. Rushdie.
Più che da Asimov o Delany, Grimus sembra più ispirarsi a Huxley e ai suoi paradisi artificiali. L’alterazione narrativa è quella dei piani della coscienza. Rushdie descrive un mondo realmente irreale dove vivono coloro che hanno scelto l’immortalità attraverso una boccetta dal liquido giallo che ricorda la pillola rossa o blu di Matrix.
Isola di Carf è l’isola degli immortali. Un isola fantastico-immaginifica dove il protagonista, Aquila Svolazzante, va in cerca della sorella-madre-amante Cane da Penna. Il viaggio è quello della coscienza, sul piano delle dimensioni interne, attraverso l’immaginazione. Sull’isola sono presenti interessanti personaggi. Ognuno di loro ha una storia da raccontare e un passato da dimenticare. Tra le bizzarre presenze c’è quella della coscienza parlante del Gorf, l’entità pietrificata dotata di poteri mentali che riescono ad alterare anagrammaticamente il loro ambiente e  le coscienze altrui. Carf è kaf, la lettera k araba, o almeno una delle sue pronunce.Nell’isola di Carf ognuno deve avere un interesse principale al quale dedicare tutta l’eternità. Il nano-filosofo Gribb, ad esempio, raccoglie massime del pensiero adatte ad ogni circostanza. Ma anche nella prospettiva dell’eterno di verificano  dei blink, intervalli di non essenza che provocano ulteriori alterazioni e un fortissimo senso di straniamento.
L’alterazione dell’immaginazione passa da Huxley attraverso  Bukowki così che il viaggio assume una forte connotazione erotico-ossessiva e Aquila svolazzante entra in vagine che diventano caverne, nuovi mondi interiori da esplorare. Un erotismo che caratterizzerà molti altri romanzi di Rushdie; una spinta, una pulsione verso donne la cui bellezza abbaglia e sconcerta. Un erotismo che affida alle donne un potere, un dominio capace di distruggere quello che le circonda e che il personaggio maschile cerca di arginare con azioni e atteggiamenti mentali fallocentrici.
Il vero protagonista del romanzo è forse la follia, la negazione del passato e la sua ossessiva rievocazione nell’eternità scelta. Al posto del Realismo magico, di cui questa storia è un pallido eufemismo, Rushdie dosa i piani mentali possibili e il timore costante di trovarsi in un sogno o sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente.
Quella di Carf è una comunità utopica dove tutto “apparentemente” funziona perché Grimus crea l’Effetto affinchè ciò avvenga: non esiste denaro, non esistono le classi sociali o la lotta tra classi. Cosa lo rende possibile? La presenza di una forza ostile potente che rende accettabile l’annullamento delle differenze pur nella comune ricerca di un mezzo per sopravvivere. Con l’arrivo dell’elemento nuovo ed esterno l’equilibrio si altera così la passione, la gelosia, il desiderio incontrollabile, la vendetta la violenza fanno il loro ingresso nella comunità di Carf così come nei successivi romanzi di Rushdie. Solo una cosa può salvare: rimanere nel “bozzolo “del  passato e nelle “minuzie “del presente. Vivere per le proprie ossessioni fa sentire distaccati, inebriati e completi. Distrarsi da ciò equivale a rendersi vulnerabili rispetto alle dimensioni della coscienza.  Grimus, a differenza degli altri uomini, sa che la “dimensione” in cui si sceglie di vivere è solo una di un’infinità possibile. Accettare la dimensione vuol dire cambiare il proprio essere.
L’azione, se non determinata da cristalli veggenti o rose di pietra dalla profondità dimensionale, diventa condizionata dai futuri possibili.
Grimus è il deus ex machina di una Febbre dimensionale difficile da controllare. Grimus è il Simurg, il signore degli uccelli, dei 30 uccelli. Un antico poema sufi racconta del viaggio di 30 uccelli per trovare il re di tutti i piumati. Il viaggio continua fino a quando i 30 uccelli non si accorgono di essere diventati loro stessi quello che stanno cercando. E così Aquila svolazzante diventa Grimus nel tentativo di cercarlo e distruggerlo.

Una trama esile per un romanzo corposo, denso  e concettuale che cade un po’ sulla banalità di certi luoghi comuni letterari. Una “prima opera” che presenta in potenza la ricchezza immaginifica del futuro Rushdie. Un romanzo non imperdibile che legge con gusto chi ha pazienza, attenzione  e il conforto dato dalla conoscenza delle opere successive di questo straordinario scrittore.

lunedì 10 giugno 2013

L'Ultimo sospiro del moro, S. Rushdie

Una storia che sa di pepe e cannella, ma senza la banalità esotica del masala.
Si intreccia la storia dell’India dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento. Il sorgere dello Stato indiano si contrappone alle ceneri del dominio moresco in Spagna tra Quattrocento e Cinquecento.
Il Moro è l’erede tardo di quei moriscos o marranos fuggiti dalla Spagna, da Granada, dopo il 1492.
“Non piangere come una donna per quello che non hai saputo difendere da uomo”
Le piccanti spezie sono quelle che intridono la  pelle delle forti figure femminili. Nella prima parte del romanzo  gli uomini non possono che soccombere a cospetto di una forza inarrestabile: nonne, madri, moglie o amanti. Sono le donne a dettare le regole del gioco. Le loro armi sono la lingua tagliente, la decisione dei gesti, una forte creatività artistica e una spiccata sensualità. Epifania, Belle, Aurora e Uma sono coloro alle quali è impossibile dire di no. Protagoniste di amori difficili, ostacolati e resi possibili con la forza dell’ostinazione e della sicurezza.
I figli, i partner di queste forti donne hanno spesso tratti in comune: genitori assenti e un forte bisogno di amore, suicidi e scomparse, un inevitabile ricorso all’immaginazione amica della solitudine e della sofferenza.
Una famiglia che commercia spezie da generazioni ma che sa ampliare i suoi commerci fino a giungere al traffico di droga, di armi e di prostitute. Una famiglia potente che diventa il simbolo dell’India nascente, quel paese che non esita a far ricorso alla violenza per affermare se stessa. La saga famigliare  si intreccia dunque con nomi altisonanti come Gandhi, Tagore, Nerhu, Bose, Indira Gandhi. Dietro alcuni personaggi appartenenti alla malavita e ai gruppi religiosi estremisti si rintracciano i tratti di politici  e figure tuttora viventi o scomparsi di recente. La stranezza e forza dei personaggi della famiglia Zogoiby  richiede un allontanamento dal resto del mondo, una posizione di distacco, superiorità e controllo. Da Cochin al Malabar, dal Kerala a Bombay, la famiglia vive su un’isola, quella di Cabral o di Elephanta.
L’arte è sicuramente una protagonista importante del romanzo. Aurora da Gama è l’artista eclettica ed eccentrica che dipinge gli stati d’animo più reconditi: passione, violenza, forza, tormento, follia. E folli diventano gli artisti che la stimano, emulano, amano, come Vasco Miranda o Uma. Rushdie riesce ad usare la parola-pennello per rendere viva e vibrante un’immagine pittorica evocativa e a tratti delirante.
L’Ultimo sospiro del moro è il titolo-quadro che collega il passato al presente. Il Moro è lo “sfortunato  el-Zogoybi, ultimo sultano di Granada, visto mentre abbandona l’Alhambra”. Ma il Moro è anche l’ultimo superstite di una famiglia di antichissime origini iberiche. Un uomo il cui tempo corre al doppio della velocità e che racchiude in sé la stirpe moresca, quella ebraica e quella indiana d’adozione. Il pizzico di realismo magico, indispensabile nei romanzi di Rushdie, è mescolato alle spezie, al pepe famigliare: il Moro nasce dopo soli 4 mesi e mezzo di gestazione nel ventre dell’artista Aurora e la sua vita procede a velocità doppia.
La  seconda parte del romanzo descrive, attraverso il pennello di Aurora, e  gli espedienti di coloro che la circondano, un’India corrotta, violenta, malvagia. L’India che, dai massacri post Indipendenza arriva, attraverso l’Emergenza imposta da Indira Gandhi, alla mafia degli anni 70’, al mondo dell’apparenza  del cinema e alla corsa verso la ricchezza ad “ogni costo”. Il pennello invasato di Aurora e la parola schietta di Rushdie rappresentano realtà in corsa inarrestabili, quei primi passi di un processo ancora in corsa oggi.
In questa corsa emergono i personaggi maschili: l’ebreo commerciante e trafficante  Abramo, il fanatico religioso misogeno Raman Fielding e i suoi picchiatori, il ragazzo-vecchio Moraes Zogoiby, l’artista bisessuale, innamorato e folle Vasco Miranda.
Attraverso queste figure la narrazione cambia registro per assumere le tinte della spy story, dei racconti di gangsters  e  delle lotte tra bande per il dominio della città. Non potevano quindi mancare reginette di bellezza e attricette Bollywood emblema di quella bellezza che vuole detergere nell’apparenza il marcio e l’oscurità della corruzione e del crimine.
La lotta per il potere, sulla città o sul cuore altrui, culmina nella distruzione, a partire da quella di Ayodhya, nella vendetta, nell’esplosione e nel sangue. La conclusione di un amore non spiegato o non condiviso giunge nel luogo da cui tutto è  arcaicamente iniziato, in Spagna. Anche qui, tra stradine assolate e contrade arroccate, sono ancora presenti le divisioni politiche della dittatura franchista appena conclusa. E’ in questa terra che il Moro racconta la storia della sua famiglia, la racconta per poter sopravvivere e per tentare di riappacificarsi con l’immagine di una madre nascosta sotto il colore de “L’ultimo sospiro del moro”.
Tutta la  straordinaria complessità del linguaggio di Rushdie in una trama avvolgente e accattivante. Forse uno dei migliori romanzi di questo interessante autore indiano.

Un frammento dal primo quadro di Aurora:


E tutto era ambientato in un paesaggio che […] era la Madre India in persona, la Madre India con le sue vesti sgargianti e il suo moto inesauribile, la Madre India che amava e tradiva e divorava  e distruggeva e tornava ad amare i suoi figli, e la cui lotta con questi stessi figli, eterna, appassionata e congiunta, si prolungava ben oltre la tomba; la Madre India che si stendeva tra grandi montagne che erano come grida dell’anima e lungo vasti fiumi pieni di pietà e di malattie, e attraverso aspri altipiani tormentati dalla carestia sui quali l’uomo spezzava col piccone il suolo secco e infecondo; la Madre India con i suoi oceani e le palme da cocco e le risaie e i giovenchi intorno al pozzo, con le sue gru sulla cima degli alberi che mostravano un collo che sembrava un attaccapanni, e gli aquiloni che volavano in cerchio nell’alto dei cieli […] S. Rushdie, L’Ultimo sospiro del Moro, pag. 71

domenica 2 giugno 2013

Nepal: 12 anni di regale mistero

Nepali Royal family
Nel Palazzo reale di Kathmandu, 12 anni fa, si consumava uno dei massacri dinastici più assurdi e misteriosi. Era il 1 giugno del 2001 quando il re Birendra, insieme ad altri 9 membri della famiglia reale, fu massacrato dall'erede principe Dipendra.
Nei miei tanti viaggi in Nepal ho sentito le storie più incredibili su questa tragedia. Sono stati scritti libri su libri per dare sfogo alla fantasia criminale e complottistica della popolazione. Alcune tesi farebbero impallidire i più fini  interpreti americani del giallo. Tra le più originali versioni c'è quella di un killer ingaggiato dal principe Paras Shah il quale sarebbe entrato nel palazzo grazie ad una plastica facciale che imitava le fattezze del principe Dipendra (al centro nell'immagine). Il killer, secondo questa folle versione dei fatti, avrebbe compiuto il massacro, sparato al Principe Dipendra per poi fuggire idisturbato. Ma dove? Nessuno è uscito dal palazzo. Alcuni arrivano a sostenere che furono ritrovati 2 principi "Dipendra". Che fine avrebbe fatto allora il cadavere del sosia? Ogni commento sulla fattibilità di queste ipotesi è superfluo. I nepalesi però sono infervorati da questo episodio. Ancora oggi, davanti al Palazzo reale, si bisbiglia riguardo questa brutta storia.
Alla reale responsabilità del Principe Dipendra, poi suicida, non crede proprio nessuno.
Alla riunione di famiglia di quella triste notte mancavano, casualmente, Gyanendra Bikram Shah e suo figlio. Si sono fatte molte ipotesi sul suo effettivo ruolo nel massacro. Colpevole o non colpevole, Gyanendra fu fatto re in fretta e furia mentre suo nipote, il  "principe folle" Dipendra, era ancora in coma. Birendra ha regnato fino al 2008 e ancora oggi sono tantissimi i sostenitori del ritorno alla monarchia. Di certo le folli imprese del ribelle principe ereditario Paras Shah, più volte raccontate in questo blog, nonchè l'ombra della sua diretta responsabilità sul massacro, non volgono a favore di un lieto e non discusso ritorno al trono.
Oggi il palazzo reale è meta di un turismo macabro che fa business. Si possono ancora vedere i fori delle pallottole sparate alla cieca per raggiungere più obiettivi possibili, dal gazebo del bigliardo (ora smontato) al giardino reale.
E' difficile rimanere indifferenti rispetto alle curiose ipotesi investigative dei nepalesi. Tra i libri più interessanti e bizzarri sull'argomento:

Love and Death in Kathmandu: A Strange Tale of Royal Murder di M. Whittakero,  Massacre at the palace di J. Gregson, Kay Gardeko. The Royal massacre in Nepal di P. A. Raj, The Royal Gosth di S. Upadhyay (autore del bellissimo Arresting God in Kathmandu).